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Bond day: il Treasury arretra e Wall Street ringrazia

Altro che effetto rialzo tassi! I Treasuries stanno dimostrando all’opposto una forza notevole, con i rendimenti che arretrano, complice – ma solo in parte - il desiderio dei mercati di puntare nuovamente sul “no risk”. Lo confermano d’altra parte Bund e oro. E Wall Street festeggia questa situazione, perché un’opposta eccessiva marcia all’insù dei rendimenti obbligazionari vorrebbe dire l’avvio di uno “switch” generalizzato dall’azionario ai titoli di Stato.

I numeri dicono che…

L’S&P 500 earnings yield, ovvero il rapporto fra la media dei profitti a dodici mesi e il valore dell’indice si aggira attualmente sul 3,7%, in deciso arretramento rispetto ai numeri registrati negli ultimi anni (6,73% il 1° gennaio 2012 – 5,87% il 1° gennaio 2013 – 5,51% il 1° gennaio 2014 – 4,99% il 1° gennaio 2015 – 4,51% il 1° gennaio 2016 e 3,92% il 1° gennaio 2017). Se l’“Us 10 years” yield si avvicinasse al 3% inizierebbe una fase di trasferimento, con inevitabili immediati effetti sull’andamento delle Borse d’oltre Oceano. L’avversione al rischio allontana invece il cambio di direzione e alcuni analisti ritengono che nelle prossime settimane il Treasury a 10 anni si riaccosterà al 2,25%. Il divario con l’S&P 500 earnings yield resta quindi abbastanza significativo e respinge un riflusso in massa sull’obbligazionario.

Che risveglio mister T-Notes!

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Il rimbalzo nelle ultime sedute delle quotazioni di tutta la curva dei Treasuries è stato quasi inatteso ma conferma un movimento che nessuno voleva vedere, nella convinzione generale di una politica monetaria decisamente restrittiva da parte della Fed. I mercati invece vanno in direzione opposta e lo attesta il ritorno dell’“Us 30 years” sotto il 3% di yield, come era successo poche volte da novembre in poi. I prossimi giorni saranno decisivi nel valutare se il trend è l’effetto di isterie da “risk off” o forse un reale indizio di difficoltà della Fed nell’aumentare i tassi. Il recupero dell’inflazione a gennaio al 2,5% contro il 2,1% di dicembre e l’1,7% di novembre smentisce quasi del tutto la seconda ipotesi; tuttavia le attuali incertezze dell’amministrazione Trump potrebbero essere lette dagli investitori come un dubbio su cosa farà la Yellen, che ha già cambiato strada troppe volte nelle scelte riferite al 2017. Certo è che il movimento quasi in parallelo di tutta la curva (dal 2 anni al 30 anni) è un segnale da seguire con attenzione, così come quello di un corporate AA (Francoforte: A116XA - notizie) +, quale l’Apple (NasdaqGS: AAPL - notizie) 3,85% scadenza 2046 (Isin US037833CD08 – quotato su Tlx), perfetto termometro degli umori dei mercati, grazie a una “duration” sui 19. Lui è meno “entusiasta” nella fase attuale, perché continua a prezzare sui 95 Usd, sopra il minimo a un anno (91,2), ma nettamente sotto i massimi (a 106,7). Altro indicatore dei sentiment è il bond Microsoft (Euronext: MSF.NX - notizie) 2,4% scadenza 2026 (Isin US594918BR43 – quotato su Tlx): anche in questo caso le oscillazioni dell’ultimo periodo seguono timidamente le reazioni dei Treasuries, restando sui 94,5 Usd, poco sopra il minimo dell’anno sui 92,7.

Da cosa nasce la confusione

Sotto il 2,25%, ma sopra il 2% e poi una reazione improvvisa al rialzo dei rendimenti: è quanto si aspettano per il decennale altri analisti di Wall Street, secondo i quali le incertezze attuali dipendono da troppi fattori, riferiti soprattutto alle scelte di allungamento del debito statunitense. Il Tesoro ha in programma la riapertura di vari trentennali, ma solo a tasso fisso, e non esclude l’ipotesi di scadenze a 40 e poi 50 e perfino 100 anni, sebbene se ne parli da tanto tempo. Uno stravolgimento della politica fin qui seguita con un netto allungamento dell’esposizione nei decenni rappresenta un motivo di perplessità in più ma dà fiducia sulla tenuta del debito statunitense, pur destinato ad aumentare esageratamente nei prossimi anni.

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