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Cannabis, 500mila firme. E ora? I passi per arrivare alle urne in primavera

Irrigation System Watering Cannabis Plant in Greenhouse. (Photo: kmatija via Getty Images)
Irrigation System Watering Cannabis Plant in Greenhouse. (Photo: kmatija via Getty Images)

Mezzo milione di firme in una settimana. Il primo traguardo per il referendum sulla legalizzazione della cannabis è stato tagliato in tempo record: una settimana appena dal lancio. Un risultato che sostanzialmente dice due cose: l’esigenza di una modifica della legislazione in materia di coltivazione e uso personale è sentita da una parte della popolazione e la possibilità di firmare online, grazie a un emendamento presentato dal deputato Riccardo Magi di +Europa che ha messo fine alla necessità della corsa al banchetto in presenza, ha dato una grossa spinta all’iniziativa. Era già successo con l’iniziativa sull’eutanasia, ma in misura minore. In questo caso l’evidenza è totale: “Abbiamo avuto una risposta straordinaria da parte dei cittadini - spiega il parlamentare all’Huffpost - che evidenzia come le persone non si occupano della politica se la politica dimostra di non occuparsi di loro. Il Parlamento, e i partiti principali in particolare, hanno completamente rimosso il tema, sul quale invece c’è un forte interesse da parte della popolazione”.

Il mezzo milione di adesioni, però, non è che il primo passo per arrivare alla celebrazione del referendum. “Noi non ci fermiamo - premette Magi - perché per essere sicuri che non ci siano problemi burocratici è bene raccogliere ancora delle firme, almeno il 20% in più”. Scaduto il tempo della raccolta, altri step dovranno essere fatti prima che l’iniziativa promossa dall’associazione Luca Coscioni possa essere portata davanti agli elettori.

La possibilità di utilizzare lo Spid, quindi un sistema certificato, consente saltare il macchinoso meccanismo dell’autenticazione. La legge che disciplina il percorso dei referendum, infatti, prevede che, una volta ottenute, le firme queste debbano essere autenticate “da un notaio o da un giudice di pace” o da una serie di altre figure ritenute idonee. Il passaggio, per il quale servivano risorse e un buon numero di persone, grazie alla procedura online non ha ragione d’essere.

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“I comuni però - spiega Magi - dovranno mandare ai promotori le certificazioni elettorali” affinché il processo sia completato e firme e quesito possano essere validate. Per questo referendum i Comuni avranno meno tempo rispetto agli altri: “Per legge le firme devono essere raccolte e consegnate entro il 30 settembre di ogni anno. Ma nel 2021, a causa della pandemia, il termine era stato prorogato al 31 ottobre. Questa proroga vale per i referendum sull’eutanasia e sulla giustizia, ma non per quello sulla cannabis”. La modifica, infatti, si limitava ai quesiti presentati prima entro il 15 maggio e poi entro il 15 giugno. “Così però - continua Magi - si rischia una discriminazione nei confronti di questa iniziativa. Dovrebbe esserci, invece, lo stesso trattamento, anche perché il termine del 15 giugno era stato posto in relazione allo stato d’emergenza, che però poi è stato prorogato dal 31 luglio al 31 dicembre”. Per ottenere lo slittamento al 31 ottobre serve una norma: “La strada più semplice sarebbe che il governo chiarisse questo punto in un decreto”. Altrimenti Magi presenterà un emendamento. Ma il tempo non è molto e bisogna procedere alla svelta.

Indipendentemente dall’eventuale proroga, quando scade il termine per la raccolta delle firme, le carte passano alla Cassazione. L’ufficio centrale per il referendum dovrà compiere, entro trenta giorni, una serie di operazioni: controllare l’autenticità delle firme, scongiurare l’esistenza di eventuali irregolarità e accertarsi che la legge su cui si presenta il quesito sia in vigore. Si tratta di un controllo di legittimità. Se dovesse avere esito negativo, i promotori del referendum possono presentare “le loro deduzioni”. Spiegare perché ritengono che invece sia ammissibile.

Una volta ottenuto il via libera dal Palazzaccio - in caso di reclami può arrivare al più entro il 15 dicembre di ogni anno - la Consulta dovrà accertarsi che il quesito sia compatibile con la Costituzione. L’articolo 75 della Carta, infatti, esclude che si possa ricorrere a referendum per “le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Appurato che il testo non riguardi queste materie, la Corte costituzionale darà il suo via libera con una sentenza di ammissibilità. La discussione della questione deve avvenire normalmente entro il 20 gennaio e la sentenza deve essere pubblicata entro il 10 febbraio.

Se il verdetto è di ammissibilità, a indire il referendum sarà il presidente della Repubblica con un decreto che stabilirà il giorno del voto: deve essere una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno.

A quel punto la parola spetta solo agli elettori: il referendum sarà considerato valido se andrà alle urne la maggioranza degli aventi diritto (il famoso 50%+1). E il quesito avrà il via libera se a mettere una “x” sul sì sarà stata la maggioranza dei votanti.

I referendum di questo genere si chiamano abrogativi perché sono formulati in modo che una norma in vigore nel nostro ordinamento possa essere cancellata, del tutto o in parte, dalla volontà popolare. Se vince il sì, il presidente della Repubblica con un decreto dà atto dell’abrogazione della legge.

Ma qual è il quesito che si troverà davanti l’elettore che deciderà di esprimersi sulla cannabis? Come si legge sul sito dei promotori, l’obiettivo è depenalizzare - quindi fare in modo che non sia più reato - la coltivazione del prodotto per uso personale. Se il referendum dovesse passare, inoltre, sarebbe eliminato il carcere “per qualsiasi condotta illecita relativa alla Cannabis”, ad eccezione del traffico illecito. Dello spaccio, per intenderci. I promotori, infine, chiedono l’eliminazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente per chi viene trovato in possesso di sostanze stupefacenti e psicotrope. Su questo punto va posta attenzione: lo stop al ritiro della patente riguarda solo chi detiene la sostanza. Guidare sotto l’effetto di cannabis o di altri stupefacenti continuerebbe a essere un reato.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.