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Cina mette ansia ai mercati, tra caos Evergrande e "azzardo" a Macao

The China Evergrande Centre building sign is seen in Hong Kong, China. August 25, 2021. REUTERS/Tyrone Siu (Photo: Tyrone Siu via Reuters)
The China Evergrande Centre building sign is seen in Hong Kong, China. August 25, 2021. REUTERS/Tyrone Siu (Photo: Tyrone Siu via Reuters)

Non c’è solo il temuto default del colosso immobiliare Evergrande a mettere in ansia la finanza e l’economia cinesi. Il tentativo di regolamentare il comparto del gioco d’azzardo a Macao - l’unico luogo in Cina dove scommettere è legale - rischia di deprimere ulteriormente la borsa di Hong Kong e gli investitori, non soltanto asiatici.

Sul fronte della bolla immobiliare pronta ad esplodere in Cina, oggi gli analisti internazionali hanno espresso serie preoccupazioni riguardo al possibile “rischio contagio” che un definitivo e disastroso crack di Evergrande potrebbe avere sui mercati mondiali. Un timore che per ora trova riscontro nella seduta pesante delle principali Borse internazionali, tutte in rosso, a cominciare ovviamente da quella di Hong Kong, che ha chiuso la seduta con un meno 3,3%.

Numeri molto negativi per il titolo Evergrande, che ha chiuso in calo di oltre il 10%, raggiungendo i valori più bassi in assoluto da oltre un decennio. La paura di un terremoto finanziario in Cina si fa sentire anche sulle quotazioni del petrolio che scendono e sui prezzi dell’acciaio. Meno cantieri in un mercato immobiliare di dimensioni enormi come quello cinese equivale a dire meno acciaio.

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Ora si tratta di capire se ci sarà, e quanto sarà ampio, l’intervento di Pechino su Evergrande, visto che molto difficilmente Xi Jinping lascerà degenerare la situazione per quella che alcuni definiscono la “Lehman Brothers cinese”, ricordando il crack del 2008 della banca d’affari statunitense. Un terremoto che comunque ha già raggiunto gli altri big del settore immobiliare in Cina, messi di fronte a un’impennata di vendite di titoli senza precedenti. Sinic Holdings Group (Shg), con sede a Shanghai, ha bloccato le contrattazioni sui suoi titoli a Hong Kong dopo aver assistito impotente a un tracollo dell’87%. Zhang Yuanlin, presidente della compagnia (da quest’anno nella lista Forbes delle persone più ricche del mondo, avendo fatto fortuna negli edifici residenziali) ha visto il suo patrimonio netto scendere da 1,3 miliardi di questa mattina a 250,7 milioni di dollari del pomeriggio, secondo i dati della stessa Forbes. Un massacro.

Oggi, a funestare le performance delle borse asiatiche – e di quella di Hong Kong in particolare – ci si è messa anche la notizia della decisione da parte di Pechino di regolamentare e calmierare il lucrosissimo settore del gioco d’azzardo e dei casinò a Macao, che non a caso è nota come la “Las Vegas cinese”. Il gioco d’azzardo è severamente vietato a Hong Kong e in tutta la Cina, ed è storicamente permesso solo nell’ex possedimento portoghese di Macao, tornato sotto la sovranità cinese nel 1999. Dopo l’annuncio di una stretta normativa da parte del governo centrale, le azioni dei gruppi che possiedono i casinò sono crollate, rischiando di mettere in ginocchio definitivamente l’industria dei giochi locale – già in grande difficoltà a causa della pandemia - che rappresenta circa l’80% delle entrate fiscali di Macao e il 55,5% del suo PIL. Una fonte di entrate piuttosto rilevante anche se considerata a livello globale cinese. Gli incassi del settore del gioco erano faticosamente risaliti fino a raggiungere il 69% dei livelli pre-pandemia: una fragile ripresa considerata ancora insufficiente dai gestori, adesso anche minacciata dalle nuove misure governative. Tra queste, Pechino prevede la nomina di rappresentanti nominati direttamente dal governo centrale – e non da quello della Regione Amministrativa Speciale di Macao – con il compito di “controllare” le società titolari delle concessioni per il gioco d’azzardo, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione degli utili e dei dividendi.

In verità, Pechino ha cercato per anni di diversificare l’economia locale di Macao, cercando di dare all’ex sonnolenta colonia lusitana una nuova immagine, allontanandola da quella, equivoca e moralmente poco accettabile – di “Las Vegas d’Oriente”, appunto. I risultati sono sempre falliti, finora, anche perché sembrava a tutti che – in realtà – Pechino non avesse una gran voglia di uccidere questa sua “gallina dalle uova d’oro”. Ma stavolta sembra proprio che il rinnovato zelo normativo del governo sia deciso a scoraggiare definitivamente il gioco d’azzardo a Macao. Nei giorni scorsi, alcune delle più grandi società di gioco sul mercato di Hong Kong hanno perso circa 18 miliardi di dollari. Le società concessionarie, tra cui Wynn Macau, Sands China e Melco Entertainment, hanno visto crollare il loro valore sul mercato, arrivando a perdere fino al 13%.

Tutto è iniziato dopo che il segretario per l’economia e le finanze di Macao, Lei Wai Nong, ha annunciato un periodo di consultazione di 45 giorni sull’industria del gioco d’azzardo, indicando carenze nella supervisione del settore, individuando nel dettaglio nove aree da regolamentare, tra cui il numero di licenze e una migliore tutela dei dipendenti, oltre a disporre di funzionari governativi per supervisionare le operazioni quotidiane del casinò, appunto. E proprio quest’ultimo punto ha messo particolarmente in allarme i gestori, considerato che il settore ha sempre “beneficiato” di quelle che si potrebbe definire come una sostanziale “opacità” normativa oltre a una forte “accondiscendenza” dei funzionari locali preposti ai controlli, in un intreccio inquietante che, nel passato, ha fatto emergere il ruolo fondamentale della corruzione e il coinvolgimento delle organizzazioni mafiose locale, le famigerate Triadi.

Oggi la principale società titolare delle lucrosissime concessioni governative è l’americana Las Vegas Sands, - con la quale è entrato in società anche il calciatore britannico David Beckham - il cui azionista di maggioranza è il miliardario americano Sheldon Adelson, titolare di un patrimonio personale che la rivista «Forbes» ha stimato in quasi 34 miliardi di dollari nel 2018, prima della crisi innescata dalla pandemia. La sola Venetian Macau , un immenso casinò aperto H24 inserito all’interno di un immane complesso con centri Commerciali e alberghi di lusso che riproducono le strade di Venezia (senza contare le finte Parigi e Hollywood) occupa un immobile alto 39 piani sulla striscia Cotai, un’area sottratta al mare che fino a meno di quindici anni fa era una superficie marina che separava le isolette di Taipa e Coloane. Esteso su un’area di 980.000 metri quadrati, il complesso rappresenta attualmente il più grande casinò al mondo, il più grande hotel a edificio unico in Asia e anche il settimo più grande edificio del Pianeta per superficie. La torre principale del complesso è stata terminata nel luglio 2007 e il resort è stato ufficialmente inaugurato il 28 agosto dello stesso anno. Attualmente dispone di 3000 suite, 110.000 m2 di spazio per le convention, 150.000 m2 di negozi, 51.000 m2 di spazio casinò (con 3400 slot machine e 800 tavoli da gioco aperti, come si è detto, 24 ore su 24) e persino un’arena-stadio coperta da 15.000 posti, per ospitare eventi musicali e sportivi.

Tutt’attorno a questo mostruosità decisamente iper-kitch si estendono a perdita d’occhio altri giganteschi hotel, case da gioco, centri commerciali, in un continuum che lascia senza parole e senza fiato. Se si riesce a mettere da parte per un attimo l’orrore causato dalla sovrabbondanza di… qualsiasi cosa (soprattutto di purissimo pessimo gusto), bisogna ammettere che il complesso, specie la finta Venezia, è incredibile, dal punto di vista della pura realizzazione tecnica e tecnologica. Tutto è perfettamente climatizzato e un finto cielo svetta sopra le facciate dei palazzi veneziani in cartongesso, illuminato con un sistema di proiettori, dotato di finte nuvole ed effetti luminosi e sonori gestiti da un sofisticato software, che simulano in modo incredibilmente realistico il susseguirsi delle ore della giornata e il variare della luce dall’alba al tramonto, fino alla vera e propria notte. Piogge e temporali compresi. E naturalmente non mancano autentici gondolieri italiani fatti venire appositamente da Venezia, con tanto di gondole originali al seguito…

Fino a non molti anni fa, l’indiscusso Re dei Casinò a Macau era Stanley Ho, imprenditore miliardario scomparso nel maggio dell’anno scorso, fondatore e presidente di SJM Holdings, una società che possiede ben diciannove casinò a Macao. Personaggio a dir poco pittoresco, quando lo incontrai nel suo quartier generale super blindato di Macao, per una delle rarissime interviste che ha concesso alla stampa internazionale, era appena scampato all’ennesimo attentato della mafia locale, nel quale erano rimasti uccisi tutti gli uomini della sua scorta. Più che un tipo da finta Venezia ipertecnologica, Ho era uno più a suo agio ai tempi in cui al vecchio Casinò Lisboa – di sua proprietà, ovviamente - i croupier se ne stavano ai tavoli verdi in canottiera e ciabatte mentre le puntate scendevano dalla balconata del primo piano in cestini di vimini appesi a dei fili. Quando arrivò a Macao come profugo da Hong Kong, nel 1941, c’era la guerra. Lui combattè i giapponesi per il governo dell’allora colonia inglese, per otto giorni, e ricevette dieci “patacas”, la moneta di Macao. Il primo appalto delle case da gioco se lo aggiudicò nel 1962. Durava otto anni, ma lui riuscì a prolungarlo fino a 25. Da allora, fino alla sua scomparsa lo scorso anno, ha sempre ottenuto da Pechino il rinnovo della concessione puntualmente ogni quattro o cinque anni. Ma negli ultimi tempi, la sua egemonia è venuta meno, consentendo a colossi del gioco internazionale, come appunto l’americana Sand, di inserirsi negli affari.

Alla fine dell’intervista, mi disse: “Vede, se si elimina il monopolio del gioco d’azzardo a Macao, i concessionari lotteranno per espandersi offrendo tali benefici ai clienti da non essere in grado di pagare le tasse. E la faccenda è rischiosissima perché, a differenza di Hong Kong che ha grandi riserve valutarie, Macao non ha lasciato alla Cina grandi riserve: se qualcosa va storto con le tasse del gioco, si fa bancarotta in un anno”. Chissà cosa direbbe ora.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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