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Come il governo vuole rendere competenti occupati e disoccupati

(Photo: Francesco FotiaFrancesco Fotia / AGF)
(Photo: Francesco FotiaFrancesco Fotia / AGF)

La dicitura che li identifica è disoccupati amministrativi. Sono 5,3 milioni e per ragioni di calcolo sono più dei 2,3 milioni che l’Istat ha certificato a ottobre. Ma il sistema di rilevazione è un elemento secondario rispetto alla condizione in cui si trovano: 4,4 milioni di loro non lavorano da un anno o più, al netto di un rientro nell’occupazione di sei mesi al massimo. Se il Piano nazionale nuove competenze, di cui Huffpost è in possesso, se ne occupa è perché, come scrive il Governo, “tanto più aumenta la distanza dall’ultima occupazione o dall’uscita del percorso scolastico-formativo”, tanto più le competenze acquisite rischiano di diventare obsolete o poco spendibili sul mercato del lavoro. Insomma il rischio è quello di una cronicizzazione di un’esclusione.

Il problema del ritorno nel mondo del lavoro esiste da tempo, ma la riscrittura che il Recovery farà di una parte del lavoro stesso amplifica la questione. Il salto è doppio perché un pezzo dell’economia si sposterà sul digitale e sul green e la transizione non sarà neutrale neppure sul fronte delle competenze. Ne servono di nuove e in tempi rapidi. Non solo per chi è dentro, cioè gli occupati, ma soprattutto per chi è fuori. Come appunto i disoccupati e i beneficiari di forme di sostegno come il reddito di cittadinanza. Ma anche i giovani, in particolare i 2,1 milioni di Neet, cioè quelli che non studiano e non lavorano.

Competenze basse, periodi lunghi senza lavoro, precari. Il cortocircuito dei disoccupati

Il Piano nuove competenze è uno degli strumenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza proprio per cambiare e potenziare la formazione. Torniamo ai disoccupati amministrativi, che una volta perso il lavoro sottoscrivono la Did, la dichiarazione di immediata disponibilità a tornare a lavorare. Il fatto di rimanere fuori per troppo tempo dal mercato non solo incide sulla disoccupazione strutturale, più difficile da riassorbire anche se l’economia vive una stagione espansiva. Rischia anche di allontanare queste persone dalla ricerca attiva, andando a ingrossare così il bacino degli inattivi.

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Il cortocircuito va avanti perché competenze basse e periodi lunghi senza lavoro vanno di pari passo con un mercato che sceglie il lavoro precario. Nel 2019, quando la pandemia non c’era, l′85% dei rapporti avviati per lavoro dipendente, parasubordinato o in somministrazione è risultato riconducibile al lavoro temporaneo.

Una volta sottoscritta la Did, i disoccupati hanno a che fare con il circuito dei centri per l’impiego. È qui che emergono le lacune sul fronte della formazione. Basta pensare che il 45% dei 3 milioni presi in carico dagli stessi centri per l’impiego (dopo la Did hanno sottoscritto un Patto di servizio o di lavoro) tra il 2019 e il 2020 aveva al massimo un diploma di terza media. E solo 46mila di loro, appena l′1,6% del totale, sono stati avviati alla formazione. Il problema della bassa qualificazione impatta ancora di più quando si prendono in considerazioni i beneficiari del reddito di cittadinanza: il 72% degli oltre 700mila indirizzati quest’anno ai centri per l’impiego ha al massimo la terza media, il 15% si è fermato alle elementari.

Neet a lungo se i titoli di studio restano bassi

Se i Neet sono tanti in Italia è anche a causa dei bassi livelli di istruzione. Solo il 20,1% della popolazione (25-64 anni) ha una laurea contro il 32,8% in Europa. E anche il diploma non è diffuso come negli altri Paesi europei. La probabilità di entrare o permanere a lungo nella condizione di Neet non è solo legata a fattori come la disabilità, la residenza nel Mezzogiorno e i lunghi periodi di disoccupazione che riguardano soprattutto gli stranieri, ma anche ai titoli di studio bassi.

Più della metà della popolazione adulta in età lavorativa ha bisogno di riqualificazione

Il Piano nuove competenze si rivolge anche a chi ha un lavoro. E questo perché oltre metà della popolazione adulta in età lavorativa, si legge nel Piano, è “potenzialmente bisognosa di riqualificazione”. Ci sono circa 13 milioni di adulti con un livello basso di istruzione, ma anche chi ha capacità digitali, di alfabetizzazione e di calcolo scarse. Il dato interessante è che tra quest’ultimi c’è chi fa un lavoro scarsamente qualificato, ma anche i lavoratori “destinati a subire presto un importante cambiamento tecnologico, rendendo potenzialmente obsolete le attuali competenze”.

Lo scarso investimento degli italiani sulle proprie competenze

Chi partecipa di più a programmi di formazione è chi ha più anni di istruzione ed è impiegato in occupazioni più qualificate. Chi è scarsamente qualificato e istruito ha più di 45 anni e ha una possibilità più bassa di essere coinvolto in attività di formazione. La tendenza dice che l’Italia ha livelli più bassi di sviluppo delle competenze di base rispetto alla media europea. E chi ha un basso livello di istruzione e qualifica è il più penalizzato.

Alla formazione si accede con diversa intensità anche a causa della condizione lavorativa. Sono ben undici i punti percentuali che separano il tasso di partecipazione delle persone altamente qualificate (13,9%) rispetto a quelle scarsamente qualificate (2,7%).

Partecipazione a formazione e istruzione (Photo: Inapp)
Partecipazione a formazione e istruzione (Photo: Inapp)

Più del 55% non ha competenze digitali di base

La media europea è del 44%, in Italia invece sono più del 55% le persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni che non hanno competenze digitali di base. La causa è la quota di popolazione anziana, ma anche il basso livello di istruzione. Un livello così basso da impattare non solo sulle prospettive legate all’occupazione o sulla possibilità di fare carriera, ma anche, scrive il Governo, “a essere seriamente compromessi sono anche l’esercizio della partecipazione civica e della cittadinanza attiva fino a compromettere l’accesso a servizi fondamentali quali quelli legati all’educazione, alla formazione o alla fruizione della protezione sociale e sanitaria”.

La leva del Piano nazionale nuove competenze

Che fare di fronte a questo scenario? A questo deve rispondere il Piano nazionale nuove competenze. L’Europa ha dettato le regole generali, che vanno dalla definizione di standard comuni e livelli essenziali di formazione professionale in tutta Italia all’incoraggiamento all’apprendimento permanente. Il Piano si pone come un quadro di coordinamento per gli interventi di aggiornamento, qualificazione e riqualificazione, tagliati sulle due transizioni del Recovery (digitale e green) e su tutte le riforme e gli investimenti del Pnrr.

L’obiettivo: formare almeno 800mila persone (300mila per rafforzare le competenze digitali)

I programmi guida sono tre: il piano Gol (Garanzia occupabilità lavoratori), il programma di investimento Sistema duale e il Fondo nuove competenze. Il primo è il perno della riforma delle politiche attive del lavoro: si rivolge, attraverso cinque percorsi, a cassintegrati, disoccupati, percettori del reddito di cittadinanza, persone svantaggiate con percorsi di aggiornamento o riqualificazione. Il Sistema duale promuove l’acquisizione di nuove competenze da parte dei giovani, spingendo sull’alternanza scuola-lavoro e sul contratto di apprendistato duale per incrociare il sistema dell’istruzione e della formazione con il mercato del lavoro. Il Fondo nuovo competenze, invece, guarda all’aggiornamento dei lavoratori di imprese che hanno stipulato accordi dove è prevista una rimodulazione dell’orario di lavoro.

L’obiettivo è coinvolgere almeno 800mila dei 3 milioni presi in carico dal piano Gol. Di questi, 300mila per il rafforzamento delle competenze digitali. Questo e gli altri obiettivi verranno perseguiti in diversi modi. Ci saranno percorsi di aggiornamenti brevi, dalla durata di 150 ore, ma anche quelli di riqualificazione professionale. Un criterio fondamentale è il tentativo di personalizzare i percorsi e i servizi di accrescimento delle competenze.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.