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Dal produttore allo scaffale, la crisi energetica non risparmia nessuno

Friendly female business owner of a delicatessen arranging the refrigerator cheese display - Small business concepts (Photo: Hispanolistic via Getty Images)
Friendly female business owner of a delicatessen arranging the refrigerator cheese display - Small business concepts (Photo: Hispanolistic via Getty Images)

Alla Valgrana di Scarnafici, in Piemonte, si producono ogni giorno più di mille forme di Piemontino e di altri formaggi. Nell’azienda guidata da Franco Biraghi, quinta generazione che due secoli fa faceva il Grana nel milanese, si utilizza solo il latte che arriva dalle province di Cuneo e di Torino. Ne servono duemila quintali al giorno, ma costa il 15% in più rispetto all’anno scorso. Da qui inizia la filiera travolta dai rincari dei prezzi dell’energia. In estate erano visibili solo nelle previsioni degli economisti, ora invece sono su carta, nelle bollette di luce e gas, ma anche nel caglio che fa coagulare il latte per fare il formaggio e negli imballaggi alla vendita. In tutto il processo di produzione, da monte a valle. Il Piemontino finisce nei supermercati italiani e stranieri, in sei Paesi europei, negli Stati Uniti e in Canada. Ma il prezzo sugli scaffali è lo stesso di un anno fa, cioè prima che il prezzo dell’energia salisse. Domanda: fino a quando il caro energia non si riverserà sul carrello della spesa?

Di fronte a un’Europa che non sa dare risposte e all’intervento tampone del Governo con la manovra a vantaggio delle famiglie - e solo in minima parte delle imprese - soffrono sia le piccole imprese sia le grandi. E temono un blocco produttivo, non solo per le bollette che rendono troppo costoso produrre, ma pure per l’impossibilità di cavarsi fuori dall’imbuto in cui rischiano di essere fagocitati. Perché se la grande distribuzione (Gdo) aumentasse i prezzi del 30%, seguendo quindi gli aumenti che sta già scontando tutta la filiera, si troverebbe gli scaffali pieni e i magazzini saturi. Perché ovviamente i consumatori comprerebbero meno o non comprerebbero. La soluzione è prendere provvedimenti per calmierare i prezzi dell’energia. Ma se la Gdo fa da tappo, allora i maggiori costi alla produzione non si sa dove scaricarli, i margini si riducono e alla fine si trasformano in perdite.

Il latte che arriva alla Valgrana sconta già un costo di produzione maggiorato dal caro energia. L’azienda lo compra a un prezzo più alto, poi deve diventare formaggio. Il caglio, ingrediente essenziale, costa di più. “Il prezzo - spiega Biraghi, delegato di Confindustria Piemonte per il settore agroalimentare - è raddoppiato. Ora quando vai a comprarlo ti dicono che te lo mettono da parte per il mese prossimo, ma non ti dicono quanto lo pagherai”. E poi bisogna alimentare i magazzini per la stagionatura e quelli per il confezionamento. La bolletta della luce per far funzionare lo stabilimento si attestava in media tra i 45mila e i 50mila euro al mese. L’importo di novembre è stato di 167mila euro. Poi c’è la bolletta del gas: da una media di 18-20mila euro al mese, a settembre è salita a 80mila euro, a 95mila euro a ottobre e a novembre, a dicembre arriverà a 120mila euro. Una volta pronto, il formaggio deve essere confezionato. I costi per l’imballaggio, che tengono dentro anche i bancali e le pellicole per mettere il prodotto sottovuoto, sono aumentati del 70-80 per cento. Anche loro scaturiti dal caro energia.

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Nello stabilimento si fa anche la panna che poi diventerà burro. Per l’industria alimentare è considerata una materia prima. La panna esce dai caseifici, acquistata da altre aziende che lo trasformano in burro e da lì finisce nei supermercati. Il burro è come il formaggio: “Se questi prodotti si pagano il doppio - dice ancora Biraghi - e non si riesce a far aumentare il prezzo al pubblico, le aziende chiudono o non vendono più alcuni di questi prodotti. Di fatto tutta la filiera sta producendo in perdita”. Tutto è precipitato dopo Ferragosto: è da quel momento che l’energia è arrivata a costare fino a cinque volte di più, con il prezzo delle materie prime che è raddoppiato. Il patron della Valgrana tira le conclusioni: “Non puoi pensare di vendere ancora a lungo allo stesso prezzo, si può andare avanti ancora qualche mese, ma non si può continuare a spendere il doppio senza incassare di più”.

Una via sempre più stretta con la grande distribuzione (Gdo) da un lato, il caro energia e materie prime dall’altro. L’azienda di Biraghi non è la sola a dover far quadrare i conti in una situazione di crescenti criticità. Prendiamo la pasta, ad esempio. La materia prima, il grano, nell’arco di un anno ha visto aumentare il suo prezzo del 100% quello duro, del 60% quello tenero. Come per le piccole, pure per le aziende più grandi non è così semplice trasferire, anche solo in minima parte, i rincari sui consumatori. Chiaro: aumentare i prezzi al consumo non è mai bello, nemmeno per chi produce che teme così di veder perdere clientela, ma di alternative o di aiuti pubblici veramente adeguati a sterilizzare gli aumenti in bolletta non ce ne sono.

“Stiamo trattando con i principali operatori della Gdo per un aumento di 20 centesimi al chilo per la pasta, ma non credo comunque sarà sufficiente”, ha detto qualche giorno fa Francesco Divella, socio dell’omonima azienda: “Il costo dell’energia ha avuto un incremento spaventoso come pure i costi dei noli marittimi e così via. Ci troviamo ai limiti della redditività zero. Per questo stiamo trattando con i grandi operatori della Gdo per adeguare i prezzi ma la controparte fatica ad accettarli. Ora stiamo lottando per un aumento di 20 centesimi al chilo ma tra breve ci troveremo costretti a chiederne un altro”.

Una parte della grande distribuzione teme di veder calare volumi e vendite se aumenteranno i prezzi. E cerca così di tenere sotto controllo i suoi margini di guadagno, fino a quando le pressioni delle filiere produttive sono gestibili. Al tempo stesso, in un contesto di rialzo generali dei prezzi c’è anche chi tenta di abbassarli, con offerte civetta, per attrarre nuovi clienti e conquistare quote di mercato. L’effetto per le aziende è talvolta paradossale perché può persino capitare che il cliente del supermercato si ritrovi a pagare un prodotto meno di quanto è costato al produttore produrlo. Comunque, con l’aumento costante dei costi energetici aumentano pure gli imprenditori che si ritrovano a produrre sottocosto, e non solo nel mondo dell’agroalimentare.

D’altro canto anche la Gdo deve fare i conti con l’aumento delle bollette. Secondo EnergRed.com, società di servizi per l’efficienza energetica, la grande distribuzione si avvia inesorabilmente verso un raddoppio dei costi energetici. L’aumento è già stato del 33% nel 2021 e salirà ancora a quasi il doppio (+89%) nel 2022. Il caro energia non è atteso scemare prima della metà del prossimo anno, se tutto andrà bene. Perché nessuna impresa, nessuna filiera, nessun settore può uscire indenne dalla crisi energetica se il prezzo del gas non calerà.

Il governo Draghi ha stanziato 3,8 miliardi contro il caro-bollette con la legge di bilancio. Ma la gran parte delle risorse sono destinate alle famiglie. A essere interessate dal taglio delle fatture della luce sono le imprese che hanno un contatore con una potenza fino a 16 kilowatt. La bottega di un artigiano o un bar con due frigoriferi, per capirsi. Secondo i calcoli dell’Arera, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, sono circa 6,2 milioni di utenze riconducibili a piccoli e medi stabilimenti. Come si evince dalla tabella riportata di seguito, infatti, i punti di prelievo associati ai clienti non domestici, allacciati in bassa tensione, sono stati 1,4 milioni se si prendono in considerazione i contatori con potenza fino a 1,5 kW. A questi vanno aggiunti 1,7 milioni con contatori tra 1,5 e 3 kW, 373mila tra 3 e 4,5 kilowatt, 1,1 milioni tra 4,5 e 6 kW, ancora 879mila da 6 a 10 kW e 607mila tra 10 e 15 kW (va aggiunta anche una parte della platea tra i 15 e i 30 kW).

Bollette (Photo: Hp)
Bollette (Photo: Hp)

Nessun aiuto davvero risolutivo da Roma, quindi, né tantomeno da Bruxelles, dove un atteso Consiglio Ue, che doveva affrontare i nodi della crisi energetica e del caro gas, si è risolto in un nulla di fatto. Posizioni inconciliabili su ogni aspetto del dossier tra alcuni Paesi del Sud, tra cui Italia e Francia, e il blocco del Nord, hanno praticamente posticipato la questione a marzo dell’anno prossimo, quando l’inverno sarà in procinto di terminare e quindi la domanda di gas inizierà a calare. In altre parole quando non servirà più.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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