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Davide Tabarelli (Nomisma): "Piano clima irrealistico, lo pagheremo in bolletta"

Davide Tabarelli (Photo: LUIGI MISTRULLIANSA)
Davide Tabarelli (Photo: LUIGI MISTRULLIANSA)

“Gli obiettivi della Commissione europea sul clima non sono solamente ambiziosi, ma addirittura irrealistici a meno che non smettiamo di crescere e di impoverirci tutti. Ai cittadini e alle imprese va detto che l’ambiente va pagato”. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, è una delle voci più autorevoli in Italia sul tema dell’energia. E come governare l’energia è una della grande questioni aperte dalla transizione verde. A maggior ragione che i target del pacchetto Fit for 55, il braccio operativo del Green Deal, impongono un ritmo di marcia più che accelerato se si vogliono ridurre le emissioni nocive del 55% entro il 2030 e arrivare alla neutralità climatica nel 2050. “Negli ultimi vent’anni sono state fatte politiche energetiche distaccate dalla realtà: abbandonare i fossili è impossibile, ci si può provare aumentando i prezzi, ma continuando così il costo della transizione crescerà sempre di più”, dice ancora Tabarelli in un’intervista a Huffpost.

L’Europa ha messo giù una road map imponente per la transizione verde, quantomeno sugli obiettivi di lungo periodo. L’Italia riuscirà a reggere questo ritmo?

Gli obiettivi della Commissione europea sono irrealistici. Nei prossimi nove anni dovremmo fare molto di più di quello che siamo riusciti a fare negli ultimi trenta. La sproporzione tra gli obiettivi e la realtà è più che evidente e quindi le difficoltà che incontreremo saranno moltissime e di vario genere.

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Prima di passare ai problemi, restiamo un attimo sulla traccia politica. Se non si osa sugli obiettivi alla fine la transizione verde trova sempre alibi per non concretizzarsi. Almeno così la pensa l’Europa. Non trova che questa impostazione sia giusta e coerente con il pacchetto Fit for 55?

La Commissione ha preso un impegno in maniera legittima, con un mandato preciso dato dal Parlamento che è eletto dai cittadini europei. È bene ricordare che in quel Parlamento siedono gruppi importanti, dai 5 Stelle ai verdi tedeschi e olandesi, che sono fortemente a favore di una transizione dei sistemi energetici e dell’abbandono dei fossili. La strada è tracciata, tornare indietro è impossibile e non sarebbe nemmeno giusto, ma gli obiettivi così come scritti dicono che qualcuno pagherà un prezzo.

Chi pagherà questo prezzo?

I consumatori europei, sia le imprese che le famiglie.

Perché?

Se il pacchetto Fit for 55 è criticato è perché i nodi vengono al pettine. La politica a volte è rivoluzione, getta il cuore oltre l’ostacolo, ma non basta: il punto è che negli ultimi vent’anni nel mondo si sono fatti annunci politici molto facili e ambiziosi sull’energia. Tutti però hanno dimenticato che esiste la realtà e che si possono anche aumentare i prezzi della CO2, ma qualcuno deve pagare. L’ambiente va pagato. La stangata delle bollette del primo luglio in Italia è una prova del fatto che i costi della transizione li stiamo già pagando.

Le rivoluzioni a costo zero non esistono.

Vero. Ma il paradosso è che l’Europa è al primo posto per i prezzi dell’energia e però emette meno CO2 per unità di Pil rispetto agli Stati Uniti e all’Asia. Emette solo l′8% del totale mondiale. Gli europei pagano l’elettricità 20-30 centesimi al kilowattora, negli Stati Uniti pagano la metà a fronte di consumi e di livelli di inquinamento molto più elevati.

Ci spieghi meglio.

Il mondo si può permettere di aumentare ancora i prezzi dell’energia, ma poi vanno gestiti. Aggiungo altri elementi di squilibrio: negli Stati Uniti c’è un uso enorme dei condizionatori a fronte di un prezzo dell’elettricità bassissimo. In Italia paghiamo un euro e dieci centesimi su un litro di benzina che costa 1,6 euro, quando negli Usa il prezzo finale è di 0,7 euro con 13 centesimi di tasse: troppo. Va bene anche pagare di più, ma tutti lo devono fare e in maniera equilibrata. Ai cittadini europei, e in particolare a quelli italiani, vanno lasciati i soldi in tasca per andare al mare o comprare una macchina che costa poco perché ha un motore diesel, che dura a lungo e non va cambiata tra dieci anni. Questa dinamica tra l’altro non riguarda solo i consumatori.

Cioè?

Le imprese in Europa pagano circa 15 centesimi per kilowattora, negli Usa e in Cina sei-sette centesimi. Con gli obiettivi irrealistici fissati dalla Commissione i prezzi aumenteranno ancora e questa dinamica comprometterà il nostro sistema economico.

Siamo arrivati ai problemi. Cosa devono aspettarsi i cittadini italiani nei prossimi mesi?

Sicuramente le bollette saliranno.

La maggioranza degli ambientalisti sostiene che bisogna tirare dritto, ne va della qualità della nostra vita e di quella del pianeta. Come si esce da questo cortocircuito che vede dentro le ragioni dell’ambiente e quelle di un pezzo importante dell’economia del Paese, come l’automotive?

Bisogna rivedere alcune scelte. Ogni anno destiniamo 12 miliardi alle rinnovabili che tutti vorremmo più sviluppate, ma dimentichiamo altre emergenze come il dissesto idrogeologico e la sicurezza delle nostre strade. Il tema non riguarda solo noi, la Germania di miliardi ce ne mette 25 all’anno, ma bisogna avere una strategia complessiva anche perché i risultati non sono affatto scontati. Le rinnovabili sono cresciute in Italia, ma non il solare o l’eolico, bensì le biomasse.

Al di là delle fazioni, come si governa la transizione energetica?

Innanzitutto informando correttamente sul suo funzionamento. L’Europa è fatta di democrazie sviluppate, molto attente, ma deve spiegare bene cosa sta succedendo. La transizione bisognerà governarla con la mobilità elettrica, continuando a fare investimenti, ma forse la prima cosa che possiamo fare è rendere globale questo impegno.

Come?

Dal 1990 al 2019 l’Europa ha ridotto le emissioni di CO2 per un miliardo di tonnellate, gli altri le hanno aumentate di 13 miliardi di tonnellate. Questo squilibrio non è sostenibile.

Sul fronte interno quali strumenti si possono mettere in campo per guidare questa transizione? Il Governo pensa a incentivi e alla formazione dei lavoratori dei settori che usciranno schiacciati da questo passaggio. Basta?

Gli incentivi possono essere utili, ma non sono sufficienti. Il rischio dell’interventismo dello Stato, giustificato dal cataclisma climatico, è che a differenza del mercato può portare a degli sprechi. Abbiamo circa ventimila colonnine per la ricarica elettrica delle auto, ma sono quasi tutte vuote. Le azioni possono essere molteplici, come ad esempio lavorare sulla cattura della CO2, ma questo implica anche liberarsi da ideologie e pregiudizi.

Quali ideologie?

La cattura della CO2 è fatta sostanzialmente dalle grandi compagnie petrolifere. Ma queste compagnie sono demonizzate. L’Italia deve liberarsi anche da questa gabbia ideologica.

Quali sono gli ostacoli principali che l’Italia troverà sulla strada della transizione verde?

Il rischio è continuare a fare quello che abbiamo fatto negli ultimi quarant’anni. La prima legge sull’efficienza energetica l’abbiamo fatta nel 1981 e da allora abbiamo fatto passi in avanti, ma i risultati sono ancora modesti.

La questione è anche economica. Il 20-30% delle aziende della componentistica dell’auto rischia di scomparire. È uno sviluppo che si può mitigare?

Se gli obiettivi restano quelli fissati dall’Europa è molto difficile. La transizione ecologica è una batosta per l’automotive, crea incertezza, distrae investimenti.

Però così l’auto elettrica resta sempre parcheggiata.

Si può e si deve trovare una mediazione. Si possono fare motori diesel più piccoli e più efficienti. L’uomo comunque non potrà fare meno dei combustibili fossili nei prossimi trent’anni, né smetterà di guidare la macchina a benzina o a diesel da domani mattina. Le macchine elettriche implicano un altro tipo di mobilità, un altro contesto, e infatti da tre anni abbiamo un incremento delle vendite di queste auto, anche a tre cifre, ma questi incrementi sono marginali rispetto al totale. Quella delle auto elettriche è ancora una mobilità per ricchi.

Torniamo a chi rischia di pagare il prezzo più salato. In Europa ci sono 30 milioni di persone in povertà energetica. La transizione verde accrescerà le dimensioni di questa povertà?

Bisogna prevedere degli interventi a sostegno perché l’energia costerà di più. La situazione è gestibile se si mettono in campo degli interventi di compensazione come quelli che oggi si fanno nei confronti delle due milioni di famiglie italiane che fanno fatica a pagare le bollette.

I soldi del Recovery danno una bella spinta alla transizione green. Questa volta l’impegno dell’Italia potrà concretizzarsi in risultati migliori rispetto al recente passato?

La questione non sono i soldi, ma il disordine politico del Paese. Abbiamo un ministro alla Transizione ecologica che per i 5 stelle doveva essere il fiore all’occhiello e ora viene messo nel mirino. Cingolani è una persona bravissima e competente, massimo rispetto per il Movimento, ma innamorarsi e poi dimostrare diffidenza non aiuta. Così continueremo a essere nel baratro.

La transizione non la fa solo la politica. Qual è il contributo che possono dare le aziende?

Alcune delle grandi, come Eni, Enel, Leonardo e Fs, potranno gestire i fondi in maniera più attenta di come è stato fatto con le partecipazioni statali e ancora prima con l’Iri. Ma servono anche le imprese private, che fanno democrazia, struttura sociale, innovazione. Purtroppo mancano quelle private di grandi dimensione che non sono molto brave a lavorare insieme. Certo questo processo non deve essere frenato.

Frenato da chi?

Se c’è una sovrintendenza che ogni volta dice che quel tipo di rinnovabili non va bene, se c’è sempre un sindaco che è contrario, è evidente che le rinnovabili non si fanno. Il problema non è solo nostro, riguarda tutta l’Europa, ma da noi è maggiore.

E poi ci sono i cittadini. Una transizione si fa anche con i comportamenti virtuosi che maturano dal basso. In Italia c’è un grado di consapevolezza adeguato su quanto la sfida green è cruciale?

L’Italia è tra i Paesi più efficienti in termini di consumi. Ma starei attento a cedere all’autoesaltazione: non lo siamo perché siamo verdi ma perché abbiamo prezzi alti e il prezzo è lo strumento più efficace per fare efficienza. Siamo poveri di energia e abbiamo sempre fatto molto attenzione, possiamo sicuramente stare più attenti ai consumi, ma le questioni sono altre. Sicuramente se le bollette continueranno ad aumentare salirà anche la diffidenza nei confronti della transizione.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.