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Dollaro più forte grazie al (probabile) successore di Yellen

La Fed si prepara a dover cambiare oltre che la politica monetaria, anche i vertici. La scadenza del mandato di Janet Yellen, che ha preso il posto di Ben Bernanke rappresentando anche la prima donna alla guida della banca centrale Usa, dovrebbe scadere a febbraio del 2018 e da tempo già si vocifera sul suo successore.

Il dollaro in rafforzamento

Molto difficilmente, infatti, l'attuale governatore si vedrà confermata la fiducia da parte del presidente Trump. Nella raffica di nomi che si sono avvicendati sulle cronache finanziarie di questi giorni uno su tutti sembra essere quello preferito dall'inquilino della Casa Bianca, cui spetta, per volontà di legge, il potere di eleggere il governatore della Fed: Stanford John Taylor, ex sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti sotto George Bush Senior. E' bastata questa indiscrezione per far registrare un rialzo sul dollaro (attualmente il cambio con l'euro si aggira intorno a 1,17) ma anche dei tassi di interesse sui Bond Usa a breve termine, anche perchè le idee di Taylor sono notoriamente orientate verso una gestione meno dovish rispetto a quella finora adottata. Stando alla sua proposta, infatti, le strategie di accomodamento monetario adottate non avrebbero fatto altro che alimentare bolle e speculazioni. Da Barclays fano notare come il nome di Taylor sia arrivato in maniera inattesa dopo un incontro surante il quale Trump ha rivalutato le sue scelte prima orientate verso una rosa ristretta e comprendente il menbro del board della Fed, Jerome Powell, l'ex Kevin Warsh e (con qualche riserva) Janet Yellen. In realtà le chance della Yellen sono alquanto al ribasso viste le numerose e spesso forti critiche arrivate proprio da Trump in campagna elettorale. Il tycoon, infatti, non ha esitato ad accusarla di adottare misure di accomodamento estremo caratterizzate da tassi di interesse artificialmente bassi, non tanto per migliorare l'economia quanto per mascherare gli errori della precedente amministrazione.

Altri record a Wall Street

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Intanto continuano i record a Wall Street: ieri il Dow Jones è arrivato a 22.956,96 punti, l'S&P 500 a quota 2.557,64 e il Nasdaq Composite a 6.624 punti. una conferma delle voci secondo cui le tensioni geopolitiche possono ormai influenzare poco, almeno in questo frangente, l'andamento dei mercati statunitensi. Ma se tutti gli operatori guardano alle trimestrali, in molti hanno perso di vista un elemento fondamentale: l'inflazione. Proprio il costo della vita, secondo le previsioni di Pierre Olivier Beffy, Chief Economist di Exane Bnp Paribas potrebbe essere stato oggetto di stime troppo prudenti. L’indice dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti risentirà ancora delle conseguenze degli uragani, un fattore che, in virtù della sua natura transitoria, potrebbe alterare il reale andamento dell'inflazione rendendo difficile l'identificazione del trend. Per riuscire a identificare i dati reali, la Fed ha elaborato l’Underlying Inflation Gauge (UIG) ovvero lo stesso indice dell'inflazione senza le variabili temporanee. Da qui risulta chiaro che il saldo finale è in attivo, salito quest’anno ad un livello non lontano da quel 2% preventivato dalla Fed. Sul lato politico c'è da registrare un ritorno del tema fiscale con un nuovo rapporto firmato dai consulenti economico del presidente, secondo cui il taglio delle aliquote così come previsto dalla riforma voluta da Trump (dall'attuale 35% al previsto 20%) permetterebbe al reddito medio di una famiglia di risparmiare dai 4mila, secondo le stime più conservative, ai 9 mila dollari l'anno, secondo quelle più ottimiste. Immediata la risposta dei democratici che hanno sottolineato che storicamente è comprovato come il taglio estremo delle aliquote favorisca in realtà le Corporate che già hanno dimostrato di avere liquidità in abbondanza (le ultime trimestrali in corso ne sono una prova) ma di non usarla per favorire l'aumento dei salari.

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