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Dopo Consulta, più complicata strada riforma elettorale

Il palazzo della Consulta, Roma, 13 gennaio 2011. REUTERS/Max Rossi (Reuters)

di Paolo Biondi ROMA (Reuters) - Sulla sentenza numero 1 del 2014 emessa dalla Corte costituzionale in molti avevano riposto più di una speranza. Ciascuno sperava che la sentenza di bocciatura del Porcellum desse una chiara indicazione in favore di un modello o dell'altro di riforma elettorale. In realtà la Consulta dà contenuto e forma a ciò che aveva già sinteticamente espresso ai primi di dicembre. Il Porcellum non va perché concede un premio di maggioranza senza alcuna regola e finisce per rischiare di essere abnorme e perché toglie al cittadino la possibilità di scelta del candidato. Come già sinteticamente espresso a dicembre, la Corte ribadisce anche che la sentenza non toglie alcuna legittimità all'attuale Parlamento (eletto con il Porcellum) ed ai suoi atti e non lascia nessuna pericolosa "vacanza" nella legge elettorale. Infatti, se nessuna riforma interverrà a modificare la situazione, resterà in vigore un proporzionale puro con un voto di preferenza: una sorta di ritorno alla situazione pre 1994. Saremmo di fatto nuovamente nella Prima Repubblica, almeno per il sistema di regole elettorali. Fra la valanga di commenti usciti fra ieri sera e questa mattina ne segnaliamo tre che descrivono la situazione attuale e permettono qualche previsione sul futuro. Il primo, sinteticissimo, è sul Foglio di questa mattina e dice che la Consulta, poiché "non indica una legge con la quale sostituire la precedente", di fatto "non pregiudica nessuno dei modelli proposti dal segretario del Pd: modello dei sindaci, Mattarellum e modello spagnolo". Il secondo è il commento di un "saggio" quirinalizio rilasciato a Reuters. Aggiunge un particolare non irrilevante: la Consulta ha aggiunto alle tre proposte una quarta possibilità, quella del proporzionale: "Lasciando una legge elettorale proporzionale che funziona la sentenza ha rafforzato di fatto Silvio Berlusconi e Beppe Grillo che possono alzare il prezzo". "L'accordo per una legge elettorale è diventato un gioco di poker perchè c'è tutto un fronte dal Sel ai centristi, al Nuovo centrodestra che faranno di tutto per tenersi una legge proporzionale senza sbarramento". Il terzo commento è quello del politologo Roberto D'Alimonte che, in una intervista a Reuters, dice: "Un accordo a tre tra Matteo Renzi, Angelino Alfano e Berlusconi è l'unica chiave per arrivare a dare un sistema di voto efficiente e che possa durare nel tempo perché largamente condiviso". E indica il doppio turno di lista come punto di possibile mediazione. La prima conclusione che si può trarre è che da ieri sera la strada per la riforma elettorale è più complicata e difficile e non si vede pronta una soluzione dietro l'angolo che possa mettere d'accordo solide maggioranze parlamentari. Pare di capire che il tema della riforma elettorale, come di fatto delineava già Renzi con le sue proposte che hanno come orizzone il superamento del bicameralismo perfetto, rientra nel quadro più generale delle riforme istituzionali e della riforma della politica tout-court come l'opinione pubblica richiede ormai a gran voce. Non a caso proprio questa mattina il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha ricevuto al Quirinale i capigruppo di Scelta civica e, al termine, il capogruppo al Senato dei montiani Gianluca Susta ha twittato di aver detto al presidente che "la legislatura può andare oltre il 2015 con nuovo programma e l'aggiornamento della squadra di Enrico Letta". Insomma, i tempi si allungano, facendo sì tirare un sollievo al presidente del Consiglio, ma concedendo anche a Renzi libertà d'azione a tutto campo sulle riforme, come aveva preteso finora. Chi sembrerebbe trarre il massimo vantaggio dalla sentenza con il miraggio di elezioni a breve con il proporzionale - cioè Forza Italia e il Movimento 5 stelle - non ha solo l'intralcio del Quirinale sulla sua strada visto che Napolitano è contrarissimo a elezioni prima del 2015. Grillo e Berlusconi, sono i meno pronti per elezioni a breve, alle prese con mezze rivoluzioni nei loro movimenti. Grillo non riesce a imporre la sua linea ed è appena stato sconfessato sul sostegno al reato di immigrazione clandestina e non è riuscito a presentare un candidato alle regionali sarde a causa delle divisioni intestine al movimento. Berlusconi ha dovuto rinunciare all'imposizione del direttore del Tg4 Giovanni Toti quale coordinatore di Forza Italia dopo l'insurrezione interna di due super notabili quali Denis Verdini e Raffaele Fitto. Il quadro politico resta complesso.