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Draghi prepara il requiem dell’euro?

Anche lui punta il dito contro l’Unione europea. E la sua voce è senza dubbio molto importante, essendo uno dei fondatori della moneta unica. Stiamo parlando di Otmar Issing, il primo capo economista della Banca centrale europea (BCE (Toronto: BCE-PA.TO - notizie) ), che si esprime senza remore e ci tiene a spiegare: “ce la stiamo cavando in qualche modo, alle prese con una crisi dopo l'altra. E' difficile prevedere per quanto tempo durerà questa situazione ma non potrà andare avanti all'infinito".

Issing ritiene che la BCE si trovi su un pendio scivoloso, poiché ha fatto saltare il sistema per salvare gli Stati in bancarotta. La posizione di Issing sulla crisi greca è nota a tutti. Il salvataggio del 2010 è stato deciso soprattutto per mettere al sicuro le banche tedesche e francesi piuttosto che per finanziare Atene. Per Issing infatti la Grecia poteva e doveva essere aiutata solo dopo un suo ritorno alla dracma.

Iniziando a puntare gli occhi, invece, sulla riunione in programma per il 20 ottobre, Franck Dixmier, Global Head of Fixed Income di Allianz Global Investors, mette in evidenza che il Quantitative Easing non si concluderà improvvisamente a marzo 2017 senza alcuna precedente indicazione in tale direzione da parte della Banca Centrale Europea. Questo punto di vista è in gran parte condiviso dai mercati, che non si aspettano l’annuncio di un cambiamento nella politica monetaria in occasione della riunione della BCE di questa settimana.

Alla luce di queste aspettative – spiega Franck Dixmier -, il Governatore della BCE Mario Draghi potrebbe ancora una volta tenere aperte tutte le opzioni e rimanere flessibile sull’eventuale adozione di questo programma. In aggiunta all’ulteriore intensificazione del Quantitative Easing in base allo scenario dell’inflazione, Draghi potrebbe ricordare ai mercati che il QE non si limita al livello tecnico. In altre parole, che la BCE può modificare le regole seguite dal 2015 nel determinare la dimensione delle proprie attività di acquisto per emissione e per emittente, l’allocation per paese e l’esclusione degli investimenti al di sotto del tasso di deposito.

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Tuttavia, riteniamo che la situazione attuale non stia rendendo urgente alcuna azione da parte di Draghi, e che il tapering sarebbe prematuro in questo momento – spiega Franck Dixmier -. Al contrario, potrebbe invece essere rilevante l'incontro della BCE di dicembre. A quel punto, Draghi dovrebbe sentirsi più sicuro nel dettagliare le modifiche negli aspetti tecnici del programma di QE, potenzialmente con un vero e proprio cambio di rotta nella politica monetaria della BCE. Non avrebbe senso isolare questi due elementi l’uno dall’altro.

Per salvare l'euro e di conseguenza l'UE non servirebbe neanche cambiare tattica perché, precisa Otmar Issing, “sarà sempre più difficile uscire dalla politica del quantitative easing, in quanto le conseguenze potrebbero potenzialmente essere disastrose”.

Dopo oltre un anno e mezzo dall’avvio dei massicci acquisti di titoli da parte della Banca Centrale Europea (sono attualmente 80 i miliardi che ogni mese vengono iniettati nel mercato), in tutta l’Eurozona l’inflazione rimane attorno allo zero e i prestiti alle imprese, in particolar modo in Italia, sono in calo. A dirlo è l’Ufficio Studi della CGIA che ha realizzato un bilancio del Quantitative Easing (QE), l’operazione avviata da Francoforte il 9 marzo del 2015 con l’intento di riportare il tasso di inflazione al 2 per cento e dare fiato all’economia. Nell’ultimo anno e mezzo nell’area dell’euro la Bce ha comprato titoli per oltre 1.248 miliardi di euro, in particolare del settore pubblico (oltre 1.061 miliardi di euro).

L’acquisto di titoli del debito pubblico dei paesi dell’Euro – precisa il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – ha contribuito a garantire una certa stabilità finanziaria ma è evidente come questa grossa iniezione di liquidità non stia raggiungendo i risultati sperati tant’è che l’inflazione è ferma, i prestiti alle imprese sono in costante calo e la crescita economica non trova lo slancio che servirebbe, creando preoccupazione negli operatori e riducendo la fiducia delle imprese. Una quota rilevante di questi 176 miliardi di euro sono finiti agli investitori istituzionali ovvero alle banche che, però, hanno preferito trattenerseli, aumentando così il livello di patrimonializzazione come richiesto dalla Bce, anziché impiegarli nell’economia reale.

Autore: Volcharts.com Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online