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Egualitarismo ed élite. Parte prima

La presunta auto-evidenza dell'uguaglianza

Una delle grandi glorie del genere umano è che, in contrasto con le altre specie, ogni individuo è unico, dunque insostituibile; qualunque siano le similitudini e gli attributi comuni tra gli uomini, sono le loro differenze che ci portano ad onorare, o celebrare, o deplorare le qualità o le azioni di una particolare persona. [1] È la diversità, l'eterogeneità degli esseri umani che è uno dei più straordinari attributi del genere umano.

Questa fondamentale eterogeneità rende ancora più curioso il moderno ideale di "uguaglianza". Perché "uguaglianza" significa uniformità – due entità sono "uguali" se e solo se sono la stessa cosa. X = Y solo se sono o identici, o se sono due entità che sono le stesse in alcune attribuzioni. Se X, Y e Z sono "uguali in lunghezza", significa che ognuna di esse è identica in lunghezza, diciamo 3 piedi. Le persone, dunque, possono solo essere "uguali" nella misura in cui sono analoghe in alcuni attributi: perciò, se Smith, Jones e Robinson (Londra: RBN.L - notizie) sono alti 4 piedi e 11 pollici ciascuno, dunque sono "uguali" in altezza. Ma ad eccezione di questi casi speciali, le persone sono eterogenee, e diverse, cioè, sono "diseguali". La diversità, e dunque "l'ineguaglianza", è perciò un fatto fondamentale della razza umana. Così come consideriamo la quasi adorazione universale contemporanea del santuario dell'"uguaglianza", fino al punto da aver virtualmente cancellato tutti gli altri obbiettivi o principi di etica? E a capo di questa adorazione ci sono stati filosofi, accademici, e altri leader e membri delle élite intellettuali, seguite dalle truppe dei formatori delle opinioni nella società moderna, ivi inclusi esperti, giornalisti, ministri, insegnanti di scuole pubbliche, consiglieri, consulenti di relazioni umane e "terapisti". E ciononostante, dovrebbe essere abbastanza evidente che la spinta a perseguire l'"uguaglianza" viola crudamente la natura essenziale del genere umano, e perciò può solo essere perseguita, per non dire aver successo, attraverso l'uso di estrema coercizione.

La venerazione odierna dell'uguaglianza è, infatti, una nozione molto recente nella storia del pensiero umano. Tra i filosofi o i pensatori più prominenti l'idea era scarsamente presente prima della metà del diciottesimo secolo; se menzionata, era solo per farne oggetto di orrore o scherno. [2] La natura profondamente anti-umana e violentemente coercitiva dell'egualitarismo fu chiarita nell'influente mito classico di Procuste, che "costrinse i viaggiatori di passaggio a sdraiarsi su un letto, e se erano troppo lunghi per il letto mozzava le parti del corpo che sporgevano, mentre allungava le gambe di quelli che erano troppo bassi. Per questa ragione gli fu dato il nome di Procuste [lo Stiratore]." [3]

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Uno dei rari filosofi moderni critici dell'uguaglianza affermò che "possiamo chiedere se un uomo è più basso di un altro, o possiamo, come Procuste, cercare di stabilire l'uguaglianza tra tutti gli uomini nei suoi confronti." [4] Ma la nostra risposta fondamentale alla domanda se l'uguaglianza esista nel mondo reale deve essere chiaramente negativa, e ogni tentativo di "stabilire l'uguaglianza" può solo risultare nelle grottesche conseguenze di ogni sforzo Procrustiano. Come, dunque, possiamo non vedere l'"ideale" di uguaglianza di Procuste come qualcosa di mostruoso e innaturale? La prossima domanda logica è perché Procuste scelse di perseguire uno scopo così chiaramente anti-umano, e che può solo portare a risultati catastrofici?

Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) contesto della mitologia Greca, Procuste persegue semplicemente un obiettivo "estetico" folle, presumibilmente seguendo la sua stella personale secondo cui ogni persona deve essere precisamente uguale in altezza e in lunghezza al suo letto. Eppure, questa sorta di non-argomento, questo blando assunto che l'ideale di uguaglianza non richieda giustificazioni, è endemico tra gli egualitaristi. Infatti l'economista di Chicago Henry C. Simons sponsorizzava una tassa sul reddito progressiva perché riteneva l'ineguaglianza di reddito "chiaramente malvagia o non piacevole." [5] Presumibilmente Procuste avrebbe potuto usare lo stesso tipo di "argomento" in conto alla "non piacevole" natura dell'ineguaglianza dell'altezza, se si fosse preoccupato di scrivere un saggio a sostegno del proprio particolare programma egualitarista. Infatti, molti scrittori danno semplicemente per scontato che l'uguaglianza sia e debba essere un obbiettivo primario della società, e che non necessita di alcun argomento di supporto, nemmeno un fragile argomento da un'estetica personale. Robert Nisbet aveva e ha ancora ragione quando scrisse due decenni fa:

È evidente che per il resto di questo secolo [...] l'idea di uguaglianza sarà sovrana praticamente in tutti i circoli che si occupano delle basi filosofiche della politica pubblica [...]. Nel passato, le idee unificanti tendevano ad avere una sostanza religiosa. Ci sono certamente dei segni che l'uguaglianza sta prendendo un aspetto sacrale fra molte menti oggigiorno, e che sta rapidamente acquisendo uno stato dogmatico, almeno tra un gran numero di filosofi e scienziati sociali. [6]

Il sociologo di Oxford A. H. Halsey, infatti, fu "incapace d'individuare alcuna ragione se non la "malvagità" per la quale qualcuno dovesse opporsi" al programma egualitarista. Presumibilmente quella "malvagità" poteva essere solo diabolica. [7]

“Uguaglianza” in cosa?

Esaminiamo ora il programma egualitarista con più attenzione: cosa, esattamente, dovrebbe rendere uguali? La vecchia, o "classica" risposta è il reddito monetario. Le entrate di denaro dovevano essere rese uguali.

In superficie, questo sembrava chiaro, ma subito sorsero delle gravi difficoltà. Dunque, l'uguaglianza dovrebbe essere per persona o per famiglia? Se la moglie non lavora, le entrate domestiche dovrebbero aumentare in proporzione? I figli dovrebbero essere obbligati a lavorare per rientrare nella rubrica degli "uguali", e se così, a che età? Inoltre, il patrimonio non è importante come il reddito annuale? Se A e B guadagnano ciascuno $50,000 all'anno, ma A possiede un patrimonio accumulato di $1 milione, e B non possiede alcunché, il loro reddito uguale riflette scarsamente un'uguaglianza di posizione finanziaria. [8] Ma se A è tassato più pesantemente a causa del suo patrimonio accumulato, non è un'ulteriore penalizzazione su parsimonia e risparmio? E come si possono risolvere questi problemi?

Ma anche mettendo da parte il problema del patrimonio, e focalizzandosi solo sul reddito, si può veramente equalizzare il reddito? Certamente il parametro da equalizzare non può essere semplicemente l'entrata monetaria. Il denaro è, dopo tutto, solo un pezzo di carta, un'unità di conto, così che l'elemento da rendere uguale non può essere meramente un numero astratto, ma devono essere le merci e i servizi che possono essere acquistate con quel denaro. Il mondo egualitario (e certamente l'egualitarista impegnato non può certo fermarsi ai confini nazionali) si preoccupa di livellare non soltanto il totale della moneta, ma l'effettivo potere d'acquisto. Dunque, se A riceve uno stipendio di 10,000 dracme l'anno, e B guadagna 50,000 fiorini, l'equalizzatore dovrà inventare quanti fiorini sono effettivamente equivalenti ad una dracma in relazione al potere d'acquisto, prima che possa brandire la sua ascia equalizzatrice correttamente. In breve, ciò che gli economisti definiscono "reali" e non mere entrate monetarie, devono essere livellate per tutti.

Ma una volta che l'egualitarista accetta di focalizzarsi sulle entrate reali, cade in un groviglio di inestricabili e irrisolvibili problemi. Perché un grande numero di merci e di servizi non sono omogenee, e non possono essere replicate per tutto. Uno dei beni che i Greci possono consumare con le loro dracme è quello della vita nelle isole Greche. Questo servizio (di beneficiare continuamente delle isole Greche) è inevitabilmente precluso agli Ungheresi, agli Americani e a chiunque altro al mondo. Allo stesso modo, cenare regolarmente in un caffè sul Danubio è un servizio inestimabile negato al resto di noi che non vive in Ungheria.

Come il reddito reale può essere equalizzato in tutto il mondo? Come si può misurare il piacere delle isole Greche, o cenare sul Danubio, in rapporto ad altri servizi? Se io sono del Nebraska, e le manipolazioni del cambio hanno presumibilmente equalizzato le mie entrate con un Ungherese, com'è possibile paragonare vivere in Nebraska al vivere in Ungheria? Il pantano peggiora sulla contemplazione. Se l'egualitarista considera che il piacere Danubiano è in qualche modo superiore a godere la vista e i panorami dell'Omaha, o di una fattoria del Nebraska, su quali basi l'egualitarista tasserà l'Ungherese e sussidierà chiunque altro? Come farà a misurare, in termini monetari, il "valore di cenare sul Danubio"? Ovviamente il rigore severo della legge naturale gli impedisce, per quanto chiaramente vorrebbe farlo, di prendere fisicamente il Danubio e parcellizzarlo equamente per ogni abitante in ogni parte del mondo. E che dire di quelle persone che preferiscono i panorami e la vita in una comunità agricola del Nebraska ai peccati di Budapest? Chi, dunque, sarà tassato e chi sussidiato, e di quanto?

Forse nella disperazione, gli egualitaristi potrebbero arretrare sull'idea che la localizzazione di ognuno rifletta le sue preferenze, e che dunque dobbiamo semplicemente presumere che l Autore: Francesco Simoncelli Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online