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Eni Shell Nigeria, appello: nessuna prova ruolo intermediari Obi e Di Nardo

Il logo Eni davanti alla sede a San Donato Milanese

MILANO (Reuters) - Per la Corte d'Appello di Milano che il 24 giugno ha assolto i due mediatori condannati in primo grado per la vicenda delle presunte tangenti Eni e Shell in Nigeria, non c'è prova né di denaro per i due intermediari né della loro partecipazione alla presunta corruzione.

Lo scrivono le tre giudici della seconda sezione penale della Corte d'Appello nelle 140 pagine di motivazione della sentenza con cui hanno assolto "perché il fatto non sussiste" Emeka Obi e Gianluca Di Nardo e con cui hanno annullato la confisca di 98,4 milioni di dollari al primo e oltre 21 milioni di franchi svizzeri al secondo.

"Manca sia la prova della creazione di una provvista a beneficio degli intermediari sia la prova della partecipazione all'accordo corruttivo con i pubblici ufficiali", si legge nelle motivazioni depositate oggi.

La sentenza di appello si è soffermata anche sul ruolo di Vincenzo Armanna, allo stesso tempo imputato e grande accusatore dei vertici Eni nel processo principale, ritenuto dai giudici di secondo grado "poco credibile" e le sue dichiarazioni sul ruolo di Obi nella vicenda "non idonee" a dimostrare la condotta illecita di Obi perché si baserebbero solo su "supposizioni e considerazioni personali".

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A chiedere l'assoluzione di Obi e Di Nardo, era stata all'epoca la stessa accusa, rappresentata in aula dal sostituto procuratore generale Celestina Gravina.

Solo la Nigeria, parte offesa nel procedimento, aveva invece depositato una memoria per chiedere che la Corte non accogliesse la richiesta di assoluzione.

ASSOLUZIONE NEL PROCESSO PRINCIPALE, E RICORSO PROCURA

Il 17 marzo scorso il Tribunale di Milano, al termine del processo principale di primo grado con rito ordinario aveva assolto tutti gli imputati, compreso l'AD di Eni Claudio Descalzi, la stessa società e Shell, dall'accusa di corruzione internazionale per i medesimi fatti.

Nelle loro motivazioni i giudici scrissero che non c'erano prove né dell'accordo corruttivo né di tangenti ai politici nigeriani e aggiunsero che la procura non avrebbe depositato agli atti del processo un video favorevole agli imputati, anche se la stessa procura fece presente in seguito che il video era invece a conoscenza delle parti.

Questa del video è una parte, non centrale, di una indagine ancora in corso condotta dalla procura di Brescia sulla gestione dell'inchiesta da parte dei pm di Milano.

Sia la procura di Milano sia la Nigeria hanno fatto ricorso in appello contro la sentenza del Tribunale di Milano nel processo principale.

MEDIATORI, SOLO NIGERIA POTRA' CHIEDERE CASSAZIONE

Solo la Nigeria, se lo riterrà opportuno una volta lette le motivazioni, facendo istanza alla Procura Generale potrà invece proporre ricorso in Cassazione contro questa assoluzione dei due mediatori in appello, perché il Pg stesso aveva a suo tempo chiesto la loro assoluzione.

Obi e Di Nardo erano stati giudicati separatamente perché entrambi avevano chiesto di essere processati in abbreviato, un rito premiale che dà diritto a uno sconto di un terzo sulla pena edittale massima ma che si celebra solo sugli atti raccolti fino alla chiusura dell'indagine e non su deposizioni e testimonianze in aula.

Nel processo ordinario, alcuni testi e imputati, i cui verbali di interrogatorio erano stati valutati come prove nell'abbreviato, non hanno confermato le loro dichiarazioni in aula. Inoltre il Tribunale non ha ammesso nel processo ordinario una serie di intercettazioni telefoniche che facevano invece parte del fascicolo del processo abbreviato.

Da qui anche una spiegazione sulla difformità del giudizio fra il giudice dell'abbreviato, che il 20 settembre 2018 aveva condannato i due mediatori a quattro anni di reclusione, e il collegio giudicante del processo principale con rito ordinario, che invece ha assolto tutti gli altri imputati.

(Emilio Parodi, in redazione a Roma Francesca Piscioneri, mailto:emilio.parodi@thomsonreuters.com; +39 06 8030 7744)