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Forti dubbi delle banche d'affari sul futuro del petrolio

Dopo i dubbi di Goldman Sachs (NYSE: GS-PB - notizie) su una ripresa dei prezzi del petrolio che appare “fragile” arrivano anche quelli di Morgan Stanley (Xetra: 885836 - notizie) secondo cui chiunque si aspetti un accordo alla riunione dell'Opec prevista in Algeria, accordo che preveda il blocco della produzione di petrolio, resterà inesorabilmente deluso.

La view di Morgan Stanley

In un mercato con un forte eccesso di offerta, i prezzi della materia prima avevano fatto registrare un aumento del 20% con un rally che in molti avevano giudicato sospetto perché non retto da un miglioramento dei fondamentali ma spinto solo da una serie di voci che parlavano di un possibile accordo tra Russia e paesi Opec. Difficile che ciò avvenga: una prima conferma arriva dai numeri della produzione saudita che vede a giugno 10,55 milioni di barili contro i 10,27 del mese precedente. I motivi, infatti vedono il primo ostacolo proprio nell'organizzazione dei paesi produttori di petrolio i quali restano convinti del fatto che il mercato tenderà ad autoregolarsi tra il terzo e il quarto trimestre dell'anno, portando perciò ad un riallineamento dei prezzi, un trend che dovrebbe essere determinato da un aumento della domanda di greggio nella seconda metà dell'anno. Senza contare che i Sauditi sono ancora in guerra con i produttori statunitensi di scisto, da una parte, e di greggio iraniani dall'altra, questi ultimi diretti concorrenti visto che offrono al mercato lo stesso tipo di prodotto.

La view di JP Morgan e Bnp Paribas (Londra: 0HB5.L - notizie)

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Inoltre Teheran non solo non ha raggiunto ancora i livelli di produzione del periodo precedente le sanzioni internazionali, target che da tempo si era fissato, ma è sul punto di farlo e sicuramente non è intenzionato a bloccarsi proprio adesso. Anche per questo motivo nelle scorse settimane i produttori arabi hanno iniziato ad offrire pacchetti scontati sui prezzi di listino ai clienti asiatici. In quest'orda di indiscrezioni non confermate ma soprattutto di speculazioni che nascono sui rumors, Teheran ha fatto sapere di essere disponibile a un possibile accordo; ma è bene far notare subito che 1) si tratta di un suggerimento, 2) per di più la notizia arriva da fonti anonime, il che aumenta il sospetto che si tratti di un ennesimo stratagemma per far rialzare le quotazioni del greggio le quali hanno immediatamente risposto arrivando a lambire nuovamente i 50 dollari al barile. Per la precisione 49,43 il Brent e 47,31 il WTI. In tutto questo anche Jp Morgan non crede alal possibilità di un tetto alla produzione, possibilità che riscuote solo un 35% di possibilitàvista la titubanza diffusa tra i maggiori produttori. Stesso scetticismo per Bnp Paribas che ha tagliato le stime sul'oro nero a circa 42 dollari per il WTI nel 2016 e 49 dollari nel 2017.

La frattura dell'Opec

Lo strapotere dell'Arabia all'interno dell'Opec rischia di peggiorare la già evidente frattura all'interno dell'organizzazione, frattura che è nata dal fatto che se Ryad è ancora in grado di reggere le quotazioni basse viste nei mesi scorsi (a fine febbraio il greggio ha sfiorato i 25 dollari al barile) gli altri, invece, non sono in grado di farlo, in primis il Venezuela, ormai in recessione e sull'orlo della guerra civile a causa del crollo delle entrate di stato rappresentate per il 90% dal greggio. Caracas, infatti, pur navigando letteralmente su un oceano di petrolio, oltre ad una pessima gestione deve scontare anche il fatto che qualitativamente il suo petrolio è particolarmente denso e pesante e necessita perciò di ulteriori processi di raffinazione i quali vanno ad allungare la catena e ad aumentare i costi al barile. Ecco quindi il punto principale: Arabia Saudita, Kuwait e Qatar, i paesi con più potere all'interno dell'Opec, sono allo stesso tempo i fautori della guerra contro i competitors statunitensi, russi e iraniani e gli unici in grado di gestire la crisi dei prezzi del petrolio.

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