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Generazione 80, rischio pensione a 73 anni

La generazione post 1980, inoltre, non può contare neanche sul contributo dello Stato per portare l’integrazione al minimo, oggi a 502 euro mensili. (LaPresse)
La generazione post 1980, inoltre, non può contare neanche sul contributo dello Stato per portare l’integrazione al minimo, oggi a 502 euro mensili. (LaPresse)

Chi è nato dopo il 1980 rischia di ricevere una pensione da fame e di smettere di lavorare a 73 anni. La generazione 80 sconta tutte le riforme delle pensioni. Il sistema contributivo disposto dalla Dini, per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995, unito all’aumento dei requisiti per la pensione della riforma Fornero, ha aperto un fronte pericoloso. Il governo sta pensando a come porre rimedio, considerando che “il 60 per cento dei lavoratori attuali ha fino a 45 anni di età”.

Le tre strade. Per la generazione post 1980, ci sono tre strade per andare in pensione. La prima, quella normale, serve per l’assegno di vecchiaia. I requisiti sono: almeno 20 anni di contributi, un’età minima che, per chi è nato nel 1980, sarà prevedibilmente di 69 anni e 5 mesi e aver maturato una pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale (oggi 640 euro netti).

Chi è nato dopo il 1980 rischia di ricevere una pensione da fame e di smettere di lavorare a 73 anni.
Chi è nato dopo il 1980 rischia di ricevere una pensione da fame e di smettere di lavorare a 73 anni.

La seconda via di pensionamento è dedicata a chi non riesce a raggiungere questo minimo. Tra i motivi principali ci sono lunghi periodi di disoccupazione e salari bassi. Un lavoratore classe 1980 che si trovi in queste condizioni, considerando gli adeguamenti automatici, potrà andare in pensione posticipata solo a 73 anni e 5 mesi.

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La terza possibilità è quella della pensione anticipata: si può lasciare il lavoro 3 anni prima dell’età di vecchiaia, se si hanno almeno 20 anni di contributi e l’importo maturato non è inferiore a 2,8 l’assegno sociale, oggi 1.050 euro netti. In questo sistema sono premiati coloro che hanno avuto un lavoro stabile e ben pagato, a rimetterci sarebbero – oggi la maggior parte dei lavoratori – tutti quei profili legati a contratti precari e con salari bassi.

La generazione post 1980, inoltre, non può contare neanche sul contributo dello Stato per portare l’integrazione al minimo, oggi a 502 euro mensili. Mettere mano alla riforma Fornero diventa una soluzione ma allo stesso tempo un terreno minato. L’intervento del governo dovrebbe anche essere mirato a stabilizzare il più possibile i contratti di lavoro, non con misure temporanee ma strutturali, al fine di migliorare la posizione contributiva di chi oggi ha 35 anni. Per garantire alla generazione 80 una vecchiaia dignitosa.