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Governare il futuro. Trump alla sfida dei social

Si chiama Truth, Verità, il social network che Donald Trump, ex Presidente degli Stati Uniti d’America ha appena annunciato di stare per lanciare per dare battaglia a Facebook, Twitter, Google & c.

I grandi social network, dopo i fatti di Capitol Hill lo avevano messo alla porta con decisioni di varia intensità ma, comunque, capaci di ridurlo a un silenzio mediatico al quale non era decisamente abituato.

Ora Donald The Trump dichiara loro guerra.

“Ho creato TRUTH Social – ha dichiarato Trump in un comunicato stampa - per resistere alla tirannia della Big Tech. Viviamo in un mondo in cui i talebani hanno un’enorme presenza su Twitter, eppure il tuo presidente americano preferito è stato messo a tacere. Questo è inaccettabile.”.

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E poi ha aggiunto: “Sono entusiasta di inviare la mia prima verità su TRUTH Social molto presto. TMTG – ovvero la sua nuova società che gestirà il social network - nasce con la missione di dare voce a tutti. Sono entusiasta di iniziare presto a condividere i miei pensieri su TRUTH Social e di combattere contro le Big Tech. Tutti mi chiedono perché qualcuno non si oppone alla Big Tech? Bene, lo faremo presto noi!”.

Una mossa attesa da tempo e più volte annunciata quella dell’ex Presidente americano che, nei mesi scorsi, aveva prima lanciato e poi chiuso una piattaforma online – più simile a un blog personale che a un social network – con la quale, probabilmente, aveva immaginato di poter recuperare, almeno in parte, un pulpito digitale dal quale arringare i suoi milioni di follower.

Ma non è andata così.

L’esperimento è stato un flop tanto da essere sospeso quasi subito.

Ora Trump, dopo aver fatto il possibile, anche in Tribunale, per ritornare sui grandi social senza grande successo ha deciso che se non può parlare al mondo via Twitter o Facebook lo farà attraverso un social network nuovo di zecca creato a sua immagine e somiglianza sotto il suo assoluto controllo e, per questo, dal quale nessuno potrà metterlo alla porta.

Una storia istruttiva che si può leggere da tante possibili diverse prospettive.

La prima è quella di chi osserva quanto sia difficile accettare che un Presidente degli Stati Uniti d’America all’epoca in carica sia privato, sostanzialmente, della libertà di parola – o di buona parte di essa – non per ordine di un Giudice né per aver violato una legge, ma da una serie di società private e per aver violato i loro termini d’uso.

La seconda è quella di chi prende atto del fatto che un cittadino qualsiasi, senza le straordinarie risorse economiche di Trump, se si fosse trovato nella stessa condizione non avrebbe mai potuto neppure pensare di creare un social network per riprendersi – ammesso che riesca nell’impresa – la libertà di parola e provare, addirittura, a far concorrenza a chi gliel’ha tolta.

La terza è quella di chi pensa che difficilmente possa essere libero e dire sempre la verità – come suggerisce il nome – un social network come quello appena creato da Trump che nasce con l’intento dichiarato di restituire a un uomo politico per di più miliardario la libertà di parola che gli è stata privata.

Chi modererà gli eventuali eccessi di Trump sul suo social network?

E chi garantirà che Trump – ipotizzando che il suo social network abbia un tale successo da diventare per davvero un concorrente di Facebook, Twitter e YouTube – tratterà in maniera giusta, equa, non discriminatoria i milioni di utenti che la pensano e la penseranno in maniera diversa da lui e manifesteranno questi pensieri attraverso Truth?

Ma quest’ultima riflessione non può non suggerirne un’altra: siamo certi che, oggi, la gestione dei contenuti sugli altri social network avvenga al riparo da indebito condizionamenti politici, economici, culturali e ideologici?

La domanda è naturalmente retorica.

È allora urgente – e la vicenda ce lo suggerisce una volta di più – trovare una soluzione che garantisca che la libertà di parola su piattaforme ormai diventate infrastrutture democratiche essenziali sia garantita in maniera equa, imparziale e non discriminatoria.

E siamo lontani dal traguardo.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.