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Grecia fuori dall’euro, quali scenari per gli investitori?

L’eventuale uscita dall’euro di Atene scatena la paura, prima di tutto tra gli investitori. In molti, infatti, in attesa dell’elezioni del prossimo 17 giugno, hanno preferito optare per una fuga verso lidi più sicuri. E la tendenza non riguarda solo i titoli ellenici, ma significa anche via libera alle vendite di titoli governativi di Italia e Spagna, che già dalla seconda metà di maggio, hanno ricominciato a tornare sotto pressione.

I Paesi più esposti alle conseguenze dell’ipotetica dipartita della Grecia da Eurolandia sono, appunto, Spagna e Italia. I buoni del Tesoro iberici, nella vendita del mese scorso, sono tornati a salire: i Bonos decennali hanno toccato il 6,5%, mentre lo spread coi Bund tedeschi ha superato i 500 punti base per la prima volta dopo mesi. Per quanto riguarda la situazione italiana, i rendimenti Btp decennali hanno superato il 6% per record da gennaio, mentre lo spread continua a rimanere troppo alto. “I grandi investitori preferiscono andare verso i titoli governativi tedeschi, considerati più sicuri”, sono i commenti degli addetti ai lavori. Non a caso il tasso d’interesse offerto dai titoli tedeschi è sceso ai minimi storici: 1,44 per cento. A testimoniare il trend, sono i portafogli delle banche italiane, imbottiti di titoli di Stato nostrani. Il debito se lo comprano le nostre banche, non più gli investitori stranieri. Insomma, il timore riguarda le conseguenze del ritorno alla dracma che potrebbero riversarsi, nel più classico degli effetti domino, sull’economia di casa nostra. In realtà le conseguenze le stiamo già pagando. Lo spread, le tasse, la disoccupazione e la recessione sono fattori che incidono pesantemente sulla ricchezza del nostro Paese. Il mercato finanziario non rimane certo fermo ad aspettare di vedere quale scelte compirà la Grecia: da mesi, come detto, sono ripartite le transazioni di vendita dei titoli dei Paesi a rischio. E questo condiziona, già oggi, la nostra economia con i tassi dei mutui più alti insieme alla famigerata stretta al credito.

Se Atene dovesse tornare alla sua moneta nazionale, i mercati non saranno impreparati e tanto meno gli investitori. Oggi, il Pil greco ammonta a circa 200 miliardi di euro l’anno. La nuova dracma si deprezzerebbe di circa il 50%, (ma secondo alcuni analisti potrebbe toccare addirittura l’80%), cosicché il Pil probabilmente scenderebbe al di sotto dei 100 miliardi di euro. Anche le entrate dello Stato greco registrerebbero una caduta di proporzioni simili: dai circo 80 miliardi di oggi, a circa 40 miliardi dopo l’uscita dall’euro. Pare ovvio che queste risorse non saranno sufficienti per ripagare gli oltre 330 miliardi di euro che la Grecia deve ai suoi creditori. Di certo, con il ritorno alla dracma, aumenterebbero le esportazioni e in una decina d’anni il Pil greco dovrebbe cominciare a tornare su livelli adeguati, rendendo così possibile la restituzione del debito. A maggior ragione se questo fosse ricontrattato su scadenze più lunghe e ad un tasso dell’1,5 per cento. La Germania, alla lunga, non avrebbe quasi nessuna perdita. Al contrario dei Paesi più deboli dell’area che subirebbero il doppio colpo dell’effetto contagio e di costi più alti di rifinanziamento.

“Nessuno conosce gli effetti di una possibile uscita di Atene dalla zona euro, ma si sa che la sofferenza sarà tanta”, hanno scritto gli analisti di Société Générale, in una nota qualche settimana fa. Secondo la banca francese, infatti, una secessione ellenica costerebbe la bellezza di 270 miliardi di euro al solo sistema bancario tedesco, il più esposto con gli istituti di credito greci. Quelli italiani e spagnoli potrebbero essere costretti a fare i conti con un deleveraging sugli asset di 20-30 punti percentuali. Nonostante il grande impatto sul resto dell’eurozona, per SocGen “un’uscita della Grecia è gestibile”. Non è di questo avviso, però, la Bank of New York Mellon che ha rimarcato come “nessuno può prevedere cosa accadrà se la Grecia esce dall’euro, il contagio potrebbe essere su scala globale e ben superiore a quello di Lehman Brothers”.

La tendenza degli investitori è, quindi, quella di non tenere più in portafoglio i titoli ellenici. Liberarsene, in attesa di capire quale sarà l’esito delle elezioni del prossimo 17 giugno. Il primo giugno, intanto, è stato l’ultimo giorno utile per la pubblicazione dei sondaggi d’opinione. Due sono i partiti in lotta per il primo posto: Nea Dimocratica, di centro destra, e la coalizione delle Sinistre (Syriza, radicale), con quest’ultima che mostrerebbe una maggiore tendenza a sfondare tra le preferenze degli elettori. Sempre venerdì scorso il leader di Syriza, Alexis Tsipras, ha annunciato di voler annullare il memorandum firmato con l’Unione europea e Fondo Monetario internazionale sugli aiuti e le misure di austerità: “Il pacchetto di salvataggio deve essere implementato o cancellato, noi chiediamo che il voto del 17 giugno lo cancelli”. Un chiaro messaggio rivolto all’Europa e ai mercati finanziari.