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Dirette e indirette, l'enigma delle imposte

Il governo punta tutto sull'aumento dell'Iva, ecco cosa vuol dire

Dirette e indirette, l'enigma delle imposte

Irpef, Imu, Iva, tassa sui rifiuti, ma anche ticket sanitari e tasse universitarie. Il contributo dei cittadini è notevole e senza dubbio molto vario tra imposte dirette e indirette. L'innalzamento di un punto percentuale dell'Iva ha fatto gridare allo scandalo. Eppure il governo ha deciso di proseguire proprio su questa strada, la stessa che percorrono molti Paesi del Nord Europa, puntando un un'imposta sul valore aggiunto più alto per diminuire le imposte dirette. Ma, di fatto, cosa vuol dire?

La maggior parte delle imposte in Italia sono dirette, ovvero colpiscono direttamente il patrimonio o il reddito del contribuente. Sono in pratica quelle che si vanno a pagare dopo la dichiarazione dei redditi o che vengono detratte dalla busta paga, come l'Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche): il sistema è quello degli scaglioni, ovvero più si guadagna più si paga. L'intero reddito tassabile comprende le entrate, ma anche le spese sostenute nell'arco dell'anno, come quelle mediche o (in parte) per l'istruzione, per le quali è previsto il sistema della detrazione. Tra le imposte dirette ci sono anche Ires, per le società, e l'Irap, per le imprese.

Le imposte indirette invece sono quelle che di fatto colpiscono tutti, indipendentemente dalla capacità contributiva, ogni qual volta che una “ricchezza” viene consumata o trasferita. Per esempio, quando in un documento mettiamo la marca da bollo quella è una tassa indiretta. Lo è anche l'Imu, ovvero la tassa sugli immobili, dove però una base di proporzione rispetto alla ricchezza c'è (se hai tre ville paghi più di un monolocale). L'imposta indiretta per eccellenza è l'Iva, l'imposta sul valore aggiunto. Ogni volta che acquistiamo qualcosa paghiamo una parte di tasse che può variare dal 4 al 22% del valore a seconda del bene: l'Iva è più bassa su quello che è ritenuto necessario, come gli alimentari che hanno un'Iva in genere al 10% (il pane al 4%), più alta su altri beni di consumo. Di fatto l'Iva è un costo solo per i consumatori finali che non possono esercitare il diritto di detrazione: i commercianti e i professionisti in genere, infatti, possono detrarre l'Iva pagata per acquistare i materiali, per esempio, e pagano solo la differenza tra quella versata dal consumatore (sul prezzo finale) e quella già pagata. Per questo è importante chiedere ricevute, fatture e scontrini fiscali: solo così è certo che il commerciante, il medico o l'avvocato pagherà l'Iva e, quindi, le tasse.

Il problema dell'evasione.
Il premier ha deciso di puntare tutto sulle imposte indirette e sul comportamento virtuoso dei consumatori. In linea teorica, infatti, abbassare le imposte dirette e incrementare quelle sui consumi è un modo per far pagare tutti. Anche l'evasore totale (e forse più degli altri) va al ristorante, acquista vestiti, fa la spesa e, quindi, paga l'Iva. In altri paesi europei, come la Germania, l'imposta sul valore aggiunto arriva anche al 40%. In Italia, però, l'Iva è anche una delle tasse più evase: da qui la necessità che tutti i consumatori facciano la loro parte chiedendo scontrini e ricevute. Quello che da tempo la maggior parte delle associazioni dei consumatori chiedono è il famoso “scaricare tutto tutti”. Se, infatti, quando facciamo la dichiarazione dei redditi possiamo scaricare per intero quanto abbiamo speso dal dentista, per esempio, c'è tutto l'interesse a chiedere la fattura e non basterà uno sconticino del 20% in cambio di chiudere un occhio a farci cambiare idea. Non solo, l'altra controindicazione all'aumento dell'Iva è, secondo alcuni, il rischio della contrazione dei consumi. Con un'imposta più alta i prezzi aumentano e, in tempi di vacche magre, potrebbe frenare ulteriormente l'economia.