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Istat: Italia stimoli la crescita per ridurre debito

Il premier Matteo Renzi. REUTERS/Francois Lenoir (Reuters)

di Giuseppe Fonte ROMA (Reuters) - Il governo italiano deve stimolare la crescita del Pil perché è il cattivo andamento dell'economia "il principale elemento di rischio" per la sostenibilità del debito pubblico, visto dal governo al 134,9% del Pil nel 2014. Lo scrive l'Istat sottolineando che la recessione ha diminuito le entrate fiscali e limitato pertanto gli effetti sul bilancio delle ultime manovre correttive, pari a 92 miliardi nel 2013. "Ne consegue l'opportunità di attuare adeguate politiche per favorire la crescita economica di breve e di lungo periodo", si legge nel rapporto annuale. Un'altra insidia è la dinamica dei prezzi al consumo. L'Istat ritiene "poco probabile" il rischio di deflazione, ma avverte che "uno scenario di crescita molto contenuta" dell'inflazione "costituisce per l'Italia, e più in generale per tutti i paesi maggiormente coinvolti nel processo di risanamento, un problema da non sottovalutare". Dal rapporto emerge una critica al pareggio di bilancio strutturale, il parametro principale del Patto di stabilità europeo, che Istat definisce "molto più stringente rispetto al limite del 3% sul rapporto deficit/Pil". Il governo ha rinviato al 2015 il pareggio strutturale, calcolato cioè al netto del ciclo e delle una tantum, indicando un obiettivo di deficit al 2,6% del Pil nel 2014 e all'1,8% il prossimo anno. "Il saldo strutturale è un indicatore non osservabile che viene calcolato sulla base di un altro indicatore stimato: il prodotto potenziale". Istat sottolinea che "a parità di altre condizioni, una stima più elevata della crescita potenziale comporta un migliore saldo strutturale e richiede pertanto politiche fiscali meno severe". "Una diversa stima del prodotto potenziale potrebbe consentire di raggiungere il pareggio strutturale con livelli più elevati di indebitamento netto", si legge nel rapporto. "Nell'ipotesi estrema che la capacità produttiva nel nostro Paese non si sia modificata durante la crisi, il vincolo del bilancio strutturale in pareggio potrebbe ad esempio essere rispettato in presenza di un rapporto deficit/Pil pari al 3% nel 2014 e di poco inferiore nel 2015", simula l'Istat. La differenza tra questo scenario e gli obiettivi ufficiali di indebitamento "equivale a circa 5 miliardi di euro nel 2014 e ad oltre 10 miliardi nel 2015". RISCHI AL RIBASSO PER LA DINAMICA DEL PIL Nel rapporto Istat conferma le stime di crescita diffuse il 5 maggio: il Pil dovrebbe quindi crescere nel 2014 dello 0,6% in termini reali, dell'1% nel 2015 e dell'1,4% nel 2016. Ora però l'Istituto aggiunge che le previsioni sono "soggette a rischi e incertezza derivanti dall'andamento della domanda globale, dalle condizioni di accesso al credito e dagli effetti delle politiche economiche". Il governo stima un tasso di crescita di 0,8 punti percentuali nel 2014, a fronte dello 0,5-0,6% indicato da tutti i principali previsori internazionali: Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Ocse. L'aumento del Pil sarebbe guidato quest'anno "in larga misura dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (+0,4 punti percentuali)". Più contenuto che nel recente passato il contributo della domanda estera netta. Alla dinamica del Pil non è estranea la struttura del sistema fiscale. Istat dice che "nel 2011 l'Italia presenta una tassazione dei consumi tra le più basse d'Europa e una tassazione su lavoro e capitale tra le più alte". Non solo. L'Italia ha ampliato la distanza rispetto alla media dell'Eurozona riguardo alla tassazione sul capitale, la cui aliquota effettiva si colloca nel 2011 al 33,6%, quasi 5 punti percentuali sopra la media. 6,3 MLN AI MARGINI DEL MERCATO DEL LAVORO La parte del rapporto che analizza il mercato del lavoro è un bollettino di guerra: "Per ogni disoccupato c'è almeno un'altra persona che vorrebbe lavorare". Nel 2013 i disoccupati ammontano a 3,113 milioni e più della metà ha perso il lavoro da oltre un anno. Il totale delle forze lavoro potenziali, ovvero gli inattivi più vicini al mercato del lavoro, arriva a 3,205 milioni persone. "Complessivamente, dunque, nel 2013 sono 6,318 gli individui potenzialmente impiegabili nel processo produttivo". L'Italia è "uno dei paesi europei con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi primari, guadagnati dalle famiglie sul mercato impiegando il lavoro e investendo i risparmi". Quel che è peggio, la diseguaglianza resta significativa "nonostante l'intervento pubblico operi una redistribuzione dei redditi di mercato di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei paesi scandinavi". Due le ragioni. Da un lato, il grosso della redistribuzione avviene tramite le pensioni. Dall'altro, le detrazioni per il lavoro e per i familiari a carico sono inefficaci con gli incapienti, gli italiani che hanno un reddito così basso da non dover pagare l'Irpef. Istat sostiene l'introduzione di una imposta negativa, cioè un sussidio a favore dei più bisognosi: "Simulazioni effettuate con il modello Istat di microsimulazione sulle famiglie suggeriscono che un intervento pari all'1% del Pil (15,5 miliardi) consentirebbe di ridurre consistentemente il tasso di povertà". Sul sito www.reuters.com altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia