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La supply chain al tempo del Covid-19

Progress is a process (Photo: PeopleImages via Getty Images)
Progress is a process (Photo: PeopleImages via Getty Images)

Sebbene sia prima di tutto una tragedia umana, il Covid-19 ha rappresentato anche una sfida per le catene di approvvigionamento. Gli impatti del virus sulle supply chain hanno obbligato il management a immaginare i potenziali scenari che l’avanzare della pandemia avrebbe segnato a livello globale e locale, così da definire le configurazioni che le aziende avrebbero dovuto adottare per rispondere.

“Le imprese del T&L hanno dovuto reagire su più fronti contemporaneamente – afferma Federica Paoletti, Director S&M & Logistics | Professional Recruitment di Spring Professional e Badenoch + Clark - oltre a tutelare la sicurezza dei propri lavoratori, era chiaro che andava salvaguardata la vitalità operativa, messa a dura prova da uno shock della filiera senza precedenti nell’ultimo secolo. Molte aziende sono state in grado di mobilitarsi rapidamente e creare meccanismi di gestione delle crisi, reagendo idealmente alla stregua di un sistema nervoso. Il focus è stato all’inizio sul breve termine, ma con il procedere della crisi si sono delineati anche i percorsi per il medio e lungo termine. I leader della catena di approvvigionamento dispongono ora di casi concreti per analizzare gli scenari e costruire la resilienza necessaria a predisporre strumenti per il futuro. Ci sono settori che hanno reagito in modo virtuoso, da queste best practice si potranno trarre linee guida utili per formare i manager T&L del futuro”.

Ne è un esempio quanto accaduto nel settore dell’health care. La logistica legata ai farmaci e ai dpi è stata fondamentale nel periodo di emergenza da Coronavirus e continua a esserlo nella fase dei vaccini. Nel primo quadrimestre del 2020, le spedizioni hanno registrato un +5%, mentre il peso dei prodotti movimentati ha segnato un +12,2%. Lo studio dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano conferma che il T&L dell’health care ha resistito bene all’impatto e ha accresciuto ulteriormente la sua importanza e i suoi numeri, in aumento già prima del Covid-19.

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La pandemia ha influenzato in realtà le dinamiche della catena di approvvigionamento in tutti i settori e in tutti i mercati. Eppure c’è stata una sostanziale tenuta.

Ne è una dimostrazione il fatto che gli scaffali dei supermercati non si sono svuotati che per poche ore e solo a causa dell’“effetto panico” generatosi all’inizio della pandemia. Le attività relative alla filiera alimentare hanno messo alla prova il mercato interno, ma anche quello esterno. Le materie prime continuavano a provenire da varie regioni e sono state spedite agli impianti di lavorazione, da cui il prodotto finale è partito alla volta dei distributori e dei punti vendita.

Gli impianti labor intensive, in una primissima fase condizionati dalle limitazioni dello spostamento delle persone, sono stati i più influenzati dai DPCM, a differenza di quelli automatizzati, che invece non hanno subito interruzioni; analogamente, molti corrieri sono rimasti a corto di personale. L’insieme di questi rallentamenti ha interferito con la catena distributiva, toccando fornitori e fornitori dei fornitori, così da obbligare a considerare scelte alternative.

Con questi presupposti, il management delle aziende si è trovato a ipotizzare due scenari.

Il primo prevedeva la diffusione limitata del virus, il contenimento a breve termine dei contagi con esigue conseguenze a macchia di leopardo e la possibilità di continuare a operare a livello globale, pur limitando le opzioni di canale per le aziende.

Il secondo ipotizzava invece la diffusione pandemica globale e il suo contenimento solo alla fine del 2020 con impatti significativi e prolungati sull’attività umana, come chiusure e interruzioni T&L. I molteplici ostacoli individuati lungo le catene di approvvigionamento sarebbero stati estremi e difficili da evitare, indipendentemente da dove le aziende operavano. Il virus avrebbe dato luogo a una pandemia globale e le aziende di tutto il mondo avrebbero dovuto affrontare arresti prolungati delle loro operazioni complessive o di stabilimenti specifici, accusando una diffusa carenza di scorte.

Oggi, a 15 mesi dai primi casi in Italia, sappiamo che il worst case ha prevalso e che la parola “fine” non è ancora stata scritta. Non solo: dovremo essere preparati a eventi futuri di questo genere, tutt’altro che improbabili. Per questo motivo, è importante capire quali sono stati gli elementi che hanno permesso alla supply chain di non implodere e fare tesoro dell’esperienza accumulata.

“Lo shock dei mercati – precisa Federica Paoletti – ha dimostrato come comprendere la modalità logistica sia stato ancora più essenziale del solito. Di conseguenza, oltre a impegnarsi per migliorare i prodotti, aumentare i volumi e ottimizzare le loro filiere, le aziende dovrebbero lavorare sempre più anche per blindare la supply chain, così da ridurre al minimo l’esposizione a interruzioni e/o potenziali aumenti dei costi. La successione degli avvenimenti ha permesso di tracciare un protocollo definito da ordini di azioni diverse, con capacità manageriali differenti, in funzione del grado di priorità, che permette di individuare reazioni immediate, di medio e di lungo termine”.

Tra le azioni intraprese immediatamente si annoverano quelle relative alla messa in sicurezza della filiera. I manager T&L hanno agito tempestivamente per rispondere alle interruzioni della catena di approvvigionamento. Sono state mantenute le persone al sicuro, grazie a un’accurata pianificazione della disponibilità di forza lavoro in strutture Covid free. L’attenzione alla sicurezza è andata di pari passo con l’informazione costante delle maestranze su quanto stava accadendo.

Dopo che la sicurezza dei lavoratori è stata garantita, le aziende hanno modificato i propri economics pianificando le azioni idonee per mantenere operative le linee distributive.

Sono state mappate rapidamente le catene di approvvigionamento e valutati tutti gli SKU in funzione dei rischi geografici.

Le aziende più sensibili e strutturate hanno attivato una war room per la mappatura della catena di approvvigionamento e la valutazione dei rischi man mano che gli scenari si evolvevano per monitorare e affrontare le vulnerabilità della supply chain. Queste unità di crisi erano governate dai talenti migliori in azienda e dotate di un chiaro mandato di chief level per rispondere alle sollecitazioni. I team guidavano le azioni necessarie monitorando quotidianamente i rischi in evoluzione, assicurandosi che le decisioni assunte garantissero un approccio sostenibile anche a medio e lungo termine.

Tra le misure provvisorie immediate per preservare la funzionalità della catena di approvvigionamento si sono annoverate la scorta di materie prime critiche e le connessioni strette con fornitori, con l’individuazione di piani di back up in caso di interruzione della catena attraverso la riscrittura della delivery map intorno alle aree colpite. Al team della war room era richiesto anche di assicurarsi che la domanda fosse gestita e ottimizzata man mano che le limitazioni dell’offerta persistevano e i modelli storici della domanda si modificavano.

Nel medio termine, si è puntato ad adeguare la capacità e l’approvvigionamento geografico in risposta alle condizioni in evoluzione. La valutazione della domanda futura ha guidato gli adeguamenti della capacità produttiva e dell’approvvigionamento di materie prime. È stato analizzato il potenziale spostamento geografico dell’approvvigionamento e i rischi dei fornitori sono stati mappati attraverso una risk analysis.

È aumentata la flessibilità di T&L, che ha tenuto conto della possibile necessità di piani di emergenza per preparare la potenziale chiusura di canali di T&L a fronte dell’attivazione di altri attraverso by pass.

Nella war room, ci si assicurava che man mano che le regioni colpite si riprendevano, i vincoli di offerta si riportassero agli standard usuali di capacità produttiva e approvvigionamento.

Mentre la pandemia obbligava a scelte e aggiustamenti di back up, il lungo periodo ha evidenziato pregi e difetti della globalizzazione, mostrando come le regioni del mondo fossero strettamente interconnesse. Con l’evolversi dei rischi globali, le aziende hanno adeguato la propria strategia della catena di fornitura in un processo che è stato anche di autoapprendimento.

Le grandi aziende hanno scelto di rifornirsi da più mercati contemporaneamente per attenuare i rischi dell’interruzione di uno solo di essi.

Le organizzazioni più evolute hanno applicato una modellazione digital-twin basata su scenari per valutare le mutevoli condizioni operative in tempo reale e anche ipotizzare in modo proattivo vari scenari di interruzione.

L’inventario è stato monitorato attraverso una mappatura digitale dettagliata della catena di approvvigionamento, sia per le materie prime che per i componenti dei macchinari.

I rischi di T&L erano sempre compresi, così da identificare corsie e modalità alternative in caso di interruzioni della fornitura.

“Analizzare i processi delle supply chain, con i problemi incontrati e le soluzioni messe in atto – conclude Federica Paoletti - deve essere la priorità numero uno tanto delle imprese quanto del governo, in primis per salvaguardare beni che sono fondamentali per mantenere la salute e la sicurezza durante la crisi. Il management privato e quello pubblico devono concentrarsi sul miglioramento e sul rafforzamento delle capacità della catena di approvvigionamento per non farsi cogliere impreparati dal prossimo possibile shock. Dobbiamo essere sicuri che quando accadrà ci siano i manager giusti al posto giusto”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.