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Lavoro, Italia dietro alla Grecia nella classifica della competitività

Succede ormai da troppo tempo che l’Italia debba vergognarsi quando qualche ente internazionale rende pubblici dati riguardanti l’economia nazionale. Negli scorsi giorni sono stati pubblicati i dati sulla disoccupazione dell’Istat, oggi a farci arrossire ci sono quelli sulla competitività nel mondo del lavoro pubblicati nel rapporto annuale del World Economic Forum.

Dati che alle sconfortanti percentuali che descrivono la crisi occupazionale aggiungono quelli della scarsa competitività delle aziende che sono rimaste in piedi, quelle che non sono finite kappaò in questo ultimo terribile lustro di recessione.

L’Italia si trova al 49esimo posto fra le 148 economie censite nell’Indice globale di competitività (Gci) ottenuta dalla media fra diversi fattori distribuiti in dodici categorie (istituzioni, infrastrutture, salute, istruzione superiore, efficienza del mercato di beni e servizi, efficienza del mercato del lavoro, sviluppo del mercato finanziario, tecnologia e innovazione).

Se il risultato globale non è certo lusinghiero, quello relativo alla competitività nel mondo del lavoro è ancora peggiore: qui l’Italia è al 137° posto, preceduta da Grecia (127esima) e Spagna (115esima). Un risultato che è frutto dei disastrosi parametri presi in esame. Su tutti, quello che balza maggiormente all’occhio è l’ultimo posto (sui 148 paesi esaminati) nella classifica degli effetti della tassazione sugli incentivi all’occupazione. Un verdetto che conferma il fallimento della riforma del lavoro promossa dal ministro Elsa Fornero.

Se poi si guarda alla relazione fra salario e produttività l’Italia è 143esima ovverosia sestultima, preceduta da Paesi come Chad, Mozambico, Benin e Guinea. L’Italia che fra qualche giorno siederà al tavolo del G20 di San Pietroburgo è 99esima al mondo nel ranking della partecipazione femminile al mondo del lavoro (preceduta da numerosi paesi a maggioranza musulmana), 142esima nella flessibilità della determinazione dei salari, 143esima nelle pratiche di assunzione e licenziamento. Il Paese di Leonardo e Michelangelo, di Marconi e Fellini, è diventato incapace di valorizzare i propri talenti: in questa particolare classifica l’Italia è solamente 117esima, mentre in quella dell’attrazione dei talenti dall’estero è addirittura 126esima.

Un grande passato alle spalle e un presente fatto di macerie economiche e sociali, i dati ci dicono questo. Nel settore dedicato al lavoro l’unico modo per trovare l’Italia nei primi posti è spulciare il ranking dedicato ai costi di licenziamento: l’Italia è 19esima. Altrove, in un’economia sana, questo garantismo sarebbe una buona notizia, contestualizzato in un’economia finita in “zona retrocessione” è, purtroppo, solamente una delle tante spiegazioni di un problema di difficile risoluzione.