Meno soldi al cashback, più ai lavoratori a rischio. Può M5s dire di no?
Quando mancano venti minuti al preconsiglio dei ministri convocato a palazzo Chigi alle due e mezzo del pomeriggio, la viceministra dell’Economia in quota 5 stelle Laura Castelli è a Montecitorio. Incrocia un gruppo di giornalisti e spiega che si sta lavorando alla “piccola rivoluzione” del cashback, non per bloccarlo ma per migliorarlo. A un centinaio di metri di distanza, sul tavolo del preconsiglio, è pronta la bozza di un decreto che all’articolo 1 recita: “Sospensione del programma cashback”. La protesta grillina dura da tre giorni, da quando Mario Draghi ha comunicato alla cabina di regia che l’operazione con copyright Conte-Casalino sarebbe stata fermata da subito e fino alla fine dell’anno. Ma l’estraniamento dei 5 stelle rispetto all’agenda e al lavoro del Governo (appena ieri l’intesa sui licenziamenti con le parti sociali) si arricchisce di un ulteriore elemento: il miliardo e mezzo che si risparmierà dallo stop al cashback andrà agli ammortizzatori sociali. Come fanno i grillini a dire di no?
La destinazione di questi soldi non è una mera operazione di contabilità. Nelle intenzioni di palazzo Chigi e del Tesoro, che ne hanno fissato la direzione, è una scelta politica. Dove politica non sta a significare una contrapposizione di principio ai 5 stelle in quanto partito, ma in quanto portatori di un’istanza che il premier non intende più tollerare. I grillini difendono la misura approvata durante il Conte 2 sostenendo ragioni che hanno a che fare con un utilizzo maggiore di bancomat e carte di credito contro il vecchio e “sporco” contante. Ancora, per dirla con le parole della viceministra all’Economia, perché il cashback è un “aspetto fondamentale di educazione alla transizione digitale”. Ma il cashback sono anche i furbetti che pagano cinque volte con il bancomat dal benzina...
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.