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Momenti di gloria

La Gran Bretagna e? in ottima forma, almeno in base ai risultati ottenuti ai Giochi Olimpici. Ma anche l’economia non sembra poi messa cosi? male. Le condizioni finanziarie appaiono alquanto favorevoli e i pochi dati che sono stati pubblicati dopo il referendum sulla Brexit sono sorprendentemente al rialzo.

La flessione del tasso di cambio in genere e? un fattore positivo per l’economia britannica. Se contribuira? al rafforzamento della crescita nel breve termine e il nuovo Cancelliere partira? col piede giusto, allentando la politica fiscale, i rendimenti obbligazionari potrebbero tornare a salire quanto prima.

Si stampa ancora moneta

Durante le vacanze leggevo dell’intenzione della Banca d’Inghilterra di tagliare i tassi d’interesse allo 0,25% e di ripristinare il piano di Quantitative Easing, e ripensavo all’efficacia della politica monetaria e alle speranze che vengono riposte nel QE per far ripartire crescita e inflazione. Il malessere economico in cui versano molti paesi sviluppati dipende dalla domanda aggregata carente, ovvero la somma di consumi, investimenti delle imprese, spesa pubblica e spesa netta sulle esportazioni dall’estero. In che modo la banca centrale puo? contribuire alla ripresa di queste aree di spesa acquistando piu? titoli di Stato?

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E? una domanda di fondamentale importanza poiche? dopo diversi anni di politiche monetarie non convenzionali persiste la preoccupazione che la crescita non sia abbastanza solida e che l’inflazione sia ancora troppo bassa. La Banca d’Inghilterra reagisce al possibile impatto della Brexit sulla crescita ricorrendo ancora a politiche non convenzionali. Mi rendo conto che il dibattito sull’efficacia della politica monetaria non e? una novita?, tuttavia credo che valga la pena approfondirlo. In che modo gli acquisti di titoli di stato a lungo termine da parte della banca centrale possono far aumentare i consumi dei comuni cittadini? Se la risposta e? che l’impatto e? minimo o poco efficace, allora dovremmo incominciare a valutare il ricorso alla politica fiscale.

I vantaggi sulla spesa

Secondo la teoria economica convenzionale, il fattore determinate del livello di spesa e? il livello di reddito. Piu? alto e? il tuo stipendio, piu? potrai spendere. Il reddito deriva dall’occupazione e da altre fonti non collegate direttamente al lavoro, ovvero dividendi, locazioni, trasferimenti di fondi e interessi. La quantita? di reddito che possiamo spendere dipende dalle imposte nonche? dalla nostra preferenza tra consumare oggi oppure domani (risparmio). Il risparmio dipende dal tasso di rendimento previsto, dalle passivita? future e dalle precauzioni che decidiamo di prendere per eventuali imprevisti. Comunque buona parte di questi ragionamenti dipende prima di tutto dal reddito che riceviamo.

Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) suo complesso il livello di reddito delle famiglie dipende dall’occupazione. Pertanto, se i consumatori non spendono abbastanza per incrementare il PIL (e ricordiamoci che in genere la spesa al consumo e? tra il 65% e il 70% del PIL), in che modo interviene il QE? Chiaramente, l’impatto sul reddito non e? diretto. Gli effetti sono piu? indiretti e pertanto anche meno affidabili.

Primo, c’e? l’impatto derivante dalla flessione dei tassi d’interesse che riduce il costo del servizio del debito per i mutuatari. A sua volta questo significa che il reddito disponibile da spendere e? potenzialmente piu? alto. La flessione dei tassi potrebbe scoraggiare il risparmio e incoraggiare la richiesta di prestiti, entrambi fattori che possono incrementare la spesa. Tuttavia c’e? anche la possibilita? che le persone risparmino di piu? quando i tassi d’interesse scendono per proteggere il reddito futuro.

Secondo, il QE fa salire i prezzi degli strumenti finanziari. Si genera cosi? un effetto ricchezza positivo per chi possiede strumenti finanziari e asset di altro tipo. L’aumento della ricchezza puo? incoraggiare la spesa facendo sentire le persone piu? ricche. Potrebbe spingere anche a chiedere prestiti a fronte di una maggiore ricchezza, alimentando ulteriormente la spesa. In questi ragionamenti ci sono troppi se e troppi ma. Innanzi tutto la distribuzione della proprieta? di strumenti finanziari tra le famiglie non e? equa, la ricchezza e? concentrata prevalentemente nelle fasce di reddito piu? alte, che secondo la ricerca sono anche quelle che hanno una minore propensione al consumo. Dunque il QE puo? avere un impatto sulla spesa, ma in modo imprevedibile.

Invece, il taglio delle imposte sul reddito influisce direttamente sul reddito disponibile, incrementandolo. Un aumento della spesa pubblica genera una crescita del reddito attraverso un incremento della spesa per beni e servizi e dell’occupazione. Non e? difficile concludere che la politica fiscale ha effetti piu? diretti della politica monetaria. Secondo gli economisti, l’equivalenza ricardiana implica che le famiglie risparmieranno di piu? se il governo spendera? di piu? in previsione di un futuro aumento delle imposte, neutralizzando dunque l’espansione fiscale. Ma se l’espansione viene in parte monetizzata attraverso il QE, questa condizione potrebbe non valere.

La flessione della sterlina

La stessa logica si applica agli investimenti delle imprese. Il QE non influisce direttamente sui ricavi delle aziende, tranne nel caso in cui si assista a una ripresa dei consumi. Riduce pero? il costo del capitale, generando di fatto opportunita? per incrementare gli investimenti. Puo? aumentare la possibilita? di distribuire i dividendi se il costo degli interessi diminuisce, alimentando il reddito delle famiglie. Ma le imprese potrebbero non investire in assenza di segnali visibili di aumento dei ricavi. In questo senso, un tasso di cambio piu? basso, derivante dall’allentamento monetario, aiuterebbe, perche’ influirebbe positivamente sulla domanda netta dall’estero e ridurrebbe il consumo di beni importati, facendo salire il PIL.

Questo e? probabilmente il meccanismo di trasmissione piu? ovvio per l’economia britannica, almeno nel breve periodo. In passato l’economia del Regno Unito si e? dimostrata estremamente sensibile alle oscillazioni del tasso di cambio. Non mancano gli esempi in cui la profonda svalutazione della sterlina ha ridato vigore alla crescita.

Successe quando il Regno Unito lascio? il Meccanismo dei tassi di cambio europeo nel 1992, e poi di nuovo dopo la svalutazione della sterlina a seguito della crisi bancaria del 2008. Una possibile fonte di sorpresa economica potrebbe essere la reazione delle esportazioni nette al calo del valore della sterlina. A fronte di un ampio deficit delle partite correnti, si tratta certamente di sviluppi favorevoli.

L’economia e? in condizioni migliori di quanto molti pensano?

Finora gli acquisti di titoli nel Regno Unito hanno fatto salire i prezzi degli asset. I rendimenti dei Gilt sono scesi molto rispetto al periodo del referendum (85 punti base per i decennali, 95 punti base per i trentennali) e i prezzi delle azioni sono saliti (FTSE-100 +10%, FTSE 250 +20% rispetto ai minimi post-referendum). Il tasso di cambio medio ponderato della sterlina e? sceso del 12% rispetto al giorno del referendum. Dunque, le condizioni finanziarie sono migliorate molto sull’onda della Brexit e non ci sorprende che finora i dati economici non abbiano avvalorato le fosche previsioni sul futuro dell’economia britannica.

Basta esaminare i dati sulle vendite al dettaglio per il mese di luglio. Il consensus secondo Bloomberg indica un moderato rialzo dello 0,1%, ma le vendite di fatto sono salite dell’1,4% rispetto al mese precedente. L’inflazione a luglio e? salita piu? del previsto e il mercato del lavoro finora ha resistito; le richieste di disoccupazione sono scese di 8.600 unita? nello stesso mese. Prima del referendum, la crescita dell’occupazione era robusta (e ricordiamoci che si e? discusso molto della prudenza delle imprese in vista del voto, anche se i sondaggi d’opinione prevedevano una vittoria del Remain). Nei tre mesi a fine giugno, l’economia britannica ha creato 172.000 nuovi posti di lavoro.

L’appiattimento della curva dei rendimenti

Quali sono dunque le implicazioni per le obbligazioni in sterlina? Dopo che la Banca d’Inghilterra ha annunciato un nuovo allentamento, il rally del mercato ha spinto i tassi d’interesse e i rendimenti obbligazionari nel Regno Unito piu? vicino ai mercati core in Europa rispetto agli Stati Uniti. Esaminando il mercato obbligazionario nel suo complesso, un rendimento del 3% su questa sponda dell’Atlantico e? una vana speranza. Bisogna addentrarsi nelle componenti a piu? basso rating, sia in euro che in sterline, per ottenere il 3%, ovvero sui titoli con rating B e inferiore nei mercati high yield europei.

Negli Stati Uniti la situazione e? diversa poiche? la maggior parte dei segmenti high yield e? ancora oltre il 3%, e anche le scadenze piu? lunghe del mercato investment grade prevedono rendimenti analoghi. Tornando al Regno Unito, le oscillazioni dei rendimenti dei Gilt sono un fenomeno molto interessante. La curva si e? appiattita e lo spread tra i gilt decennali e il tasso base e? in linea con lo spread tra Bund decennali e il tasso sui depositi della Banca Centrale Europea.

Se crediamo a Mark Carney, che sembra contrario a far scendere i tassi d’interesse in territorio negativo, potrebbe non esserci molto spazio per un nuovo calo dei rendimenti decennali. Ma lo spread tra i Gilt a 30 anni e il tasso di interesse bancario e? piu? alto rispetto a quello tedesco, e nel Regno Unito potremmo assistere a un calo dei rendimenti a lunga scadenza, soprattutto a fronte delle dinamiche di domanda e offerta nel segmento a lungo termine della curva. Considerato il QE, si tratta piu? che altro di una mossa tattica in termini di valore relativo sulla curva. Dubitiamo pero? dei suoi meriti come investimento buy & hold, considerato il prezzo di mercato a 152,38 con una cedola del 3,5% per i prossimi 30 anni... con un rendimento Autore: Chris Iggo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online