Noi e i diritti/2. La tragica sceneggiata sulle sorti di Peng Shuai
Dopo aver fatto recapitare clandestinamente il manoscritto del “Dottor Zivago” a Giangiacomo Feltrinelli, Boris Pasternak, vessato dalle autorità sovietiche, chiese all’amica Helene Peltier di avvertire così l’editore italiano che stava per pubblicargli il libro in prima mondiale: “Se dovesse ricevere una lettera in una lingua diversa dal francese, non dovrà seguirne le indicazioni, le uniche lettere valide sono quelle scritte in francese”.
In francese le lettere della verità, in russo quelle bugiarde, estorte con la pistola alla tempia.
L’analogia si impone con il caso della tennista cinese Peng Shuai, sparita dalla circolazione dopo aver denunciato per molestie un altissimo papavero della nomenklatura del Partito. Ogni tanto, per via dell’attenzione mondiale sulla sua presunta scomparsa, ricompare in fotografie che trasudano imbarazzo e inautenticità, oppure in video, ma sempre con il marchio di una sceneggiata imposta, senza che lei possa parlare liberamente e smentire in modo convincente le voci sulla sua cattività.
Sono immagini oscene che parlano di un ricatto, dell’onnipotenza degli apparati polizieschi, della sorte incerta di una grande campionessa che ha osato sfidare le autorità tiranniche di Pechino. Tra due mesi la Cina ospiterà i Giochi invernali, il caso di Peng Shuai passerà in secondo piano, il posticcio delle foto e dei video celebrerà i suoi trionfi e l’Occidente continuerà a gonfiare i polmoni proclamando la difesa dei diritti umani. Povera Peng Shuai. E povera Cina.
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.