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Ora sui rider tocca all'Italia. Fatta la legge, serve il contratto

A Uber Eats rider passes on a deserted Via del Corso during the emergency blockade of the Coronavirus Covid-19 in Rome, Italy, 26 April 2020. ANSA/ANGELO CARCONI (Photo: Ansa)
A Uber Eats rider passes on a deserted Via del Corso during the emergency blockade of the Coronavirus Covid-19 in Rome, Italy, 26 April 2020. ANSA/ANGELO CARCONI (Photo: Ansa)

Il principio è stato fissato a Bruxelles: i rider che consegnano il cibo a domicilio, gli autisti di Uber, ma anche i lavoratori domestici e i piccoli manutentori che hanno a che fare con le piattaforme digitali, sono da considerare lavoratori subordinati e quindi devono essere assunti. A determinate condizioni però e questo delimita il campo d’applicazione, ma cosa cambierà per questi lavoratori in termini di orari, ferie, malattia, più in generale di diritti dipenderà dalla traduzione in legge della direttiva europea. Ora tocca all’Italia. “Ora - spiega Antonio Aloisi, docente di Diritto del lavoro all’università IE di Madrid ed autore con Valerio De Stefano del libro Il tuo capo è un algoritmo - serve un contratto collettivo moderno, che tenga insieme tutele e flessibilità, sicurezze e innovazione”.

Le leggi e le pronunce della magistratura si sono ingarbugliate tra di loro e il risultato è stato quello di un perimetro ballerino. Il decreto legislativo 81 del 2015, emanazione del Jobs Act, e la legge sui rider voluta dai 5 stelle nel 2019, hanno costituito dei passi in avanti, ma non definitivi. Lo chiarisce sempre Aloisi: “Con la riforma di due anni fa si è stabilito che ai lavoratori organizzati dalle piattaforme si applica il diritto del lavoro, ma i giudici su questo si sono divisi e la discussione si è polarizzata tra gli accademici”. Non tutto, però, è andato in fumo, anzi: le stesse nome soddisfano, seppure in parte, i criteri della presunzione della subordinazione, ma non al punto da far scattare un automatismo, anche legato ad alcuni criteri, tra la mansione del fattorino in bici e il riconoscimento dello status di lavoro subordinato. Ecco allora che il secondo tempo di questo percorso è il rafforzamento dello schema che passa dall’abilitazione della contrattazione collettiva. “La Commissione europea - prosegue l’esperto - ha creato una cornice di riferimento, tra l’altro la direttiva contiene la clausola di non regresso, cioè le leggi nazionali potranno fare ancora meglio e la trasposizione del testo europeo non potrà inficiare le regole esistenti”. “La contrattazione collettiva è una pratica, certo, non può essere calata dall’alto”, aggiunge Aloisi per spiegare la natura in progress del lavoro che seguirà all’approvazione della direttiva da parte delle istituzioni europee.

La declinazione della subordinazione si aggancia anche a un’altra importante decisione assunta dalla stessa Commissione europea e cioè il diritto ai lavoratori autonomi di accedere alla contrattazione collettiva senza essere ostacolati dalle regole europee sulla concorrenza. Dentro questo bacino ci sono anche i lavoratori delle piattaforme digitali, oltre a chi lavora fianco a fianco con i subordinati e chi guadagna più del 50% dallo stesso cliente. Sono gli autonomi che sono contrattualmente deboli, il tubista che lavora per conto proprio e che non può di certo essere paragonato a grandi imprese come Microsoft. In pratica ai fini del diritto alla concorrenza, i lavoratori autonomi, anche le partite Iva senza organizzazione, sono equiparati alle imprese. Le associazioni che si formano tra questa tipologia di lavoratori con l’obiettivo di regolare i prezzi e le tariffe, tra le altre cose, sono considerate una restrizione alla concorrenza. È come se tutti i ristoranti di Milano si mettessero d’accordo per far pagare una pizza 15 euro: è evidente che così si viola il diritto alla concorrenza. Se però si parla dei piccoli, questa interpretazione restrittiva cessa di avere senso. Così il mercato è viziato da un’anomalia e la vicepresidente della Commissione con delega alla concorrenza Margrethe Vestager, già nel 2019, aveva detto che così non si poteva andare avanti.

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I vantaggi per i rider

Orari, turni, ferie, retribuzione, malattia, ma anche la conoscenza delle metriche e dei parametri algoritmo che dirige il lavoro. La lista dei vantaggi di cui beneficerebbero i rider se si approdasse alla contrattazione collettiva è lunga. “Hanno tutto da guadagnare - dice Aloisi - perché la contrattazione collettiva crea un ribilanciamento dei rapporti di forza. Oggi, nel mondo delle piattaforme, non c’è un quadro unico negoziato da imprese e lavoratori che imponga dei minimi sotto i quali non si può scendere, sia dal punto di vista delle regole e delle condizioni, sia economici. Tutte le materie su cui i lavoratori lamentano un’assenza di tutele sono quelle che potrebbe essere regolate dal contratto collettivo”.

Un’occasione anche per i sindacati

Dopo una prima fase di conoscenza, ma anche di sospetto reciproco, i sindacati tradizionali hanno lanciato una sorta di alleanza con i lavoratori che si sono autorganizzati in gruppi. “Evidentemente - ricostruisce Aloisi – in un primo tempo i sindacati tradizionali non hanno sfondato per una questione di affiliazione dato che alcuni di questi lavoratori non hanno considerato il sindacato classico come il primo interlocutore. Viceversa, i gruppi spontanei e autorganizzati hanno preso piede anche perché ad esempio è cambiato il modello di leadership: ci sono molti migranti che guidano questi sindacati e la loro leadership è maturata grazie diversi fattori, compresa la vicinanza anche linguistica ai colleghi”. Secondo l’esperto non è escluso che ora si arrivi a un’alleanza: “C’è da attendersi dei vasi comunicanti”, irrobustendo un trend che già si sta manifestando e che ha visto alcuni dei leader dei movimenti autorganizzati iscriversi nel tempo al “sindacato classico che nel frattempo ha maturato una sensibilità più attenta”.

Perché la direttiva Ue rappresenta un cambio di passo

Qui le questioni sono fondamentalmente due. La prima è la portata del bacino: non tanto in termini numerici, ma di ambiti. Dal riconoscimento della subordinazione, legato al rispetto di almeno due criteri sui cinque indicati dalla direttiva, restano fuori solo le piattaforme come Airbnb e Skyscanner che consentono un incontro diretto e forte tra domanda e offerta. Tutte le altre sono dentro: non solo le big del cibo a domicilio, ma anche le piattaforme del crowd work che hanno a che fare con attività semiprofessionali e di consulenza. Più in generale rientrano tutti quei lavoratori che hanno a che fare con una piattaforma capace di organizzare la loro prestazione in maniera invasiva, in linea con quanto stabilito già dalla Corte di giustizia europea che aveva stabilito che Uber è un fornitore di trasporti mentre Airbnb è un intermediario.

La seconda questione è l’attivazione della presunzione della subordinazione. Per Aloisi “si evitano i limiti che sono emersi in Spagna e in Italia, in cui si è in parte circoscritta questa fetta del mercato del lavoro in maniera troppo puntuale, sostanzialmente ai fattorini che trasportano il cibo. Finalmente si supera uno schema a compartimenti stagni,”.

L’algoritmo, non più un perfetto sconosciuto

La direttiva fa riferimento al diritto alle spiegazione delle decisioni prese dall’algoritmo. “La Commissione - è il ragionamento di Aloisi - fa un passo in avanti rispetto a quello che oggi si può trovare nel regolamento europeo per la protezione dei dati personali. E in più c’è una dimensione collettiva dell’esercizio di questo diritto”. L’ambito è definito: non è la rivelazione da parte delle piattaforme di un segreto, quindi la questione ha poco o nulla a che fare con la proprietà intellettuale e il segreto industriale. È qualcosa di più utile ai lavoratori: capire quali siano le conseguenze in relazione ad alcune condotte. Questa visione “serve anche a superare la visione un po’ mitologica dell’algoritmo: non si arriva a scoprire qualcosa di misterioso come la ricetta della Nutella, non si rivelano le linee di codice sottostanti ai sistemi decisionali automatizzati, ma si fa in modo che le piattaforme spieghino cosa accade se per esempio un rider non accetta una chiamata o si assenta. È un modo per aprire la strada alla negoziazione dell’algoritmo”.

Le piattaforme accetteranno il cambiamento?

Negli Stati Uniti c’è stata una resistenza forte e soprattutto compatta, soprattutto in California, quando fu varata la legge che legava il riconoscimento della subordinazione a tre criteri. Un referendum popolare, che si tenne nel giorno della grande sfida tra Joe Biden e Donald Trump, ribaltò le disposizioni e il tutto è finito nelle mani di un giudice. In Europa, invece, il fronte è variegato. Just Eat, il più grande operatore di food delivery, ha già benedetto la svolta europea. Altre invece si sono mostrate contrariate.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.