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Pechino lancia l’offensiva sulle auto elettriche (di S. Panzeri)

(Photo: sinology via Getty Images)
(Photo: sinology via Getty Images)

(di Stefano Panzeri)

Le auto cinesi erano già presenti celate dietro a marchi di altre nazionalità: Volvo e Lotus di proprietà della Geely, MG della Saic e l’italiana DR Motors che assembla su licenza di Chery e Jac. Ora, però, arrivano nel Bel Paese i produttori cinesi con il loro logo sulle calandre suscitando timori per una possibile invasione di modelli a basso costo. Queste preoccupazioni, per la verità, si erano già avute in passato con il debutto europeo dei costruttori giapponesi e coreani, ma alla fine il loro arrivo è stato apprezzato per avere stimolato l’industria europea a migliorare processi produttivi e standard qualitativi.

Rispetto al passato, però, ci sono due fattori nuovi. Il primo riguarda la tecnologia, non più quella a combustione dove l’Europa è leader, ma quella elettrica dove il Paese asiatico è all’avanguardia. Non a caso, lo sbarco in Europa delle auto cinesi termiche non ha avuto grandi riscontri, mentre i primi arrivi a batterie stanno già incidendo. Secondo lo Schmidt Automotive Research nel primo semestre 2021 le vendite elettriche cinesi hanno sfiorato il 4% del mercato europeo, merito soprattutto delle consegne in Norvegia di colossi come Byd, Nio e Xpeng.

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Il secondo motivo è la grande capacità produttiva della Cina, per ora riversata sul mercato interno, ma alla ricerca di sbocchi fuori dai confini. Nel 2020, infatti, il mercato globale delle vetture a batterie è cresciuto del 38% arrivando a 3,18 milioni di unità, mentre quello cinese si è fermato a un +3%, conservando comunque la leadership mondiale con 1,25 milioni di immatricolazioni. Un successo ottenuto, peraltro, puntando su qualità e prezzo. Secondo il rapporto “Evs - A pricing challenge” di Jato Dynamics, i listini delle vetture a batterie in Cina sono scesi in media del 47% dal 2011, periodo nel quale quelli Usa e dell’Ue sono saliti rispettivamente del 38 e 28%. Un risultato dovuto ai forti sussidi erogati dal governo dal 2009 ai produttori e al dominio assoluto nella filiera delle batterie, dove il made in China controlla l’85% della produzione mondiale.

Quattro marchi importati da Koelliker

A portare in Italia i produttori orientali è Koelliker, gruppo attivo dal 1936 con le importazioni di Rolls Royce e Jaguar e noto per avere commercializzato marchi come Mitsubishi, Hyundai e Kia. Un’esperienza riversata ora su 5 nuovi marchi, dei quali quattro made in China: Aiways, Maxus, Seres e Weltmeister. Costruttori poco noti, ma con diversi modelli nativi elettrici in gamma, alcuni dei quali approderanno nel Bel Paese. Si tratta di crossover e Suv con allestimenti di buon livello e con prezzi in linea con le rivali, nonché di veicoli commerciali con sistema elettrico efficiente.

Il modello più accessibile è la Seres 3, Suv compatto con buone prestazioni e autonomia fino a 330 km, ripristinabile in poco più di un’ora con ricarica Fast da 50 kW. Il listino (37.555 euro) è simile a concorrenti come Kia e-Niro, Nissan Leaf e Volkswagen ID.3. Sul fronte opposto c’è l’Aiways U5, Suv medio grande con autonomia di 410 km e ricarica 20-80% in 35 minuti offerto a 45.500 euro nella versione top Prime.

Un debutto non aggressivo

A fornire una percezione di come avverrà lo sbarco delle vetture orientali in Italia è Luca Ronconi, Ceo di Koelliker. “Il nostro intento non è aggredire il mercato, ma piuttosto di fornire il nostro contributo per fare crescere la mobilità elettrica per contribuire ad affrontare con efficacia la sfida ai cambiamenti climatici. Sappiamo che esiste un pregiudizio verso le auto cinesi, giustificato dall’effettiva arretratezza tecnologica nel settore delle vetture tradizionali pensate per il mercato interno. Un gap in parte colmato grazie alle partnership con i costruttori europei che hanno permesso di migliorare la qualità di assemblaggi, finiture e processi produttivi introducendo tolleranze di stile europeo. Un divario superato nel comparto elettrico dove la tecnologia digitale ha rilevanza predominante, settore nel quale la Cina, insieme alla California, è all’avanguardia. Anche la scelta di iniziare con modelli di fascia medio alta è voluta per creare fiducia verso prodotti poco noti. Nel tempo amplieremo la gamma, introducendo city car e utilitarie, sempre con caratteristiche in linea con le esigenze degli automobilisti italiani”.

Consulenti della mobilità elettrica

A far prevedere una crescita progressiva è la consapevolezza di un mercato non ancora maturo. “Sappiamo che il mercato elettrico in Italia è per ora una nicchia che necessita ancora di evoluzioni, in particolare sulle infrastrutture di ricarica e digitali. Oltre che importatori, la nostra idea è di offrirci come consulenti per divulgare la cultura dell’auto elettrica e per fornire soluzioni di mobilità che semplificano il passaggio all’esperienza elettrica. Ad esempio, con l’accordo con Enel X forniamo agli utenti le soluzioni di ricarica più adatte alle loro esigenze, come wallbox domestiche, colonnine aziendali e di ricarica pubblica. Puntiamo anche sui servizi con proposte di manutenzione specifiche e il soccorso stradale per chi rimane senza carica. Un contributo alla fiducia arriva dalla garanzia (5 anni su auto, 8 anni o 150.000 km su batterie) e da tagliandi con scadenze prolungate: per alcuni modelli Aiways il primo check up è fissato a 100.000 km. L’alleanza con Microsoft, invece, è fondamentale per fornire soluzioni evolute ancora in divenire per vivere un’esperienza di guida migliore. La digitalizzazione, ad esempio, consente di gestire in remoto gli aggiornamenti software migliorando i sistemi di sicurezza, potenziando i dispositivi di assistenza alla guida o fornendo nuovi parametri per una guida più piacevole o efficiente”.

Motus-e: più concorrenza, ma nel rispetto dell’ambiente

A commentare il debutto cinese in Italia è Francesco Naso, segretario generale di Motus-e, associazione nata per favorire la mobilità elettrica. “L’arrivo di marchi cinesi contribuisce a incrementare la concorrenza e, di conseguenza, ad abbassare i prezzi. Per contro, potrebbe mettere a rischio l’industria europea. L’errore da non fare è considerare le auto in arrivo delle ‘cinesate’, ossia di bassa qualità: sono anni che il Paese investe in qualità e lo conferma il comparto della telefonia. Per questo l’Italia, come l’Europa, deve curare la filiera e avviare iniziative strategiche per la competitività. Dobbiamo fare le batterie, in particolare quelle innovative allo stato solido o al grafene, e investire in formazione, ricerca e sviluppo e industrializzazione, nonché dare una direzione chiara alle imprese per orientare lo sviluppo e supportarlo economicamente. Importante è pure fare rispettare le norme ambientali. La competizione con la Cina è già iniqua in termini di salari, non possiamo permetterci di sobbarcarci i maggiori costi dovuti a una produzione rispettosa dell’ambiente. Un orientamento imprescindibile, voluto anche dai cittadini, tutelabile approvando la Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM)”, il meccanismo di adeguamento delle emissioni importate che applica un’imposta sul carbonio nei prodotti extra Ue che non rispettano gli standard europei.

I cinesi nel mondo delle due ruote

Per capire cosa potrebbe succedere tra le auto è utile osservare quanto già accaduto tra le due ruote dove l’avanzata cinese è già in corso e dove le vendite di ciclomotori e moto a zero emissioni sono in forte crescita: +84,6% nel 2020, +5,2% nei primi 9 mesi dell’anno dove ha inciso il calo degli ordini per le flotte in sharing. “Tra i motocicli”, afferma il responsabile settore moto di Confindustria Ancma Michele Moretti, “la presenza asiatica è irrilevante poiché in Italia c’è un retroterra culturale che difficilmente può essere scalfito dalla produzione cinese. I consumatori sono attenti a storia, qualità, finiture ed estetica dei modelli, tutte molto elevate nella produzione occidentale e ancora modeste in quella orientale. Diversa è la situazione tra i ciclomotori e gli scooter, dove la qualità cinese già assicura i requisiti richiesti dagli utenti, ossia affidabilità e prezzo competitivo. Qui la minaccia è evidente, anche se credo che sapremo fronteggiare questa concorrenza grazie all’innovazione e alla tradizione italiana”. Al momento, però, il leader del mercato elettrico nazionale è già un marchio cinese (Niu che precede le italiane Askoll e Vespa) e la quota dei produttori asiatici già supera il 20% delle vendite. Percentuale che sale considerando i modelli prodotti in Cina per conto di marchi europei.

L’antidumping per le e-bike made in China

Diversa la situazione tra le e-bike, mercato in forte crescita in Italia, con consegne passate da 56.200 a oltre 280.000 unità tra 2015 e 2020 e con un trend ancora positivo (+12% nel primo semestre 2021). Qui l’invasione sospinta dai prezzi bassi era evidente: su poco più di 2 milioni di e-bike vendute in Europa nel 2017, 770.000 erano cinesi. A frenare l’ascesa orientale è arrivata nel 2019 la misura antidumping della Commissione europea che ha avuto effetto immediato: delle 3,5 milioni di bici consegnate nel 2019 solo 195.000 erano made in China. “Oltre a ridurre l’arrivo delle bici orientali”, sottolinea il Presidente dell’European Bicycle Manufacturers Association, Moreno Fioravanti, “la norma ha rafforzato l’industria europea con la nascita di start up innovative e l’apertura di nuovi stabilimenti per la produzione di bici a pedalata assistita, ma pure dei singoli componenti come batterie, motori e telai. L’esito sono più occupazione e crescita economica del comparto. Non escluderei un provvedimento simile tra le auto, anche per compensare le disparità dei costi di produzione dovuti alle più blande norme su sicurezza e tutela ambientale, nonché ai forti aiuti di Stato erogati alle aziende cinesi”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.