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Portafoglio da riorganizzare: in vista l'evento clou dell'estate

La riunione del G7 terminata la settimana scorsa e tenutasi nella cittadina giapponese di Sendai, ha decretato il pericolo di un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea come uno dei pericoli più gravi per i mercati internazionali.

Crolla l'indice Zew

Come se ciò non bastasse gli ultimi dati riguardanti l’indice di fiducia degli investitori in Germania(Zew) hanno visto un drastico calo dovuto anche alle incertezze derivanti dal referendum del 23 giugno che si terrà, appunto, in Inghilterra; numeri alla mano si parla di un risultato a maggio che è arrivato a 6,4 punti contro gli 11,2 di aprile e che contrasta nettamente con le attese che arrivavano a 12 punti. Da Natixis Global Asset Management avvisano che questo evento potrebbe caratterizzare gran parte dell’estate in arrivo. A poco meno di un mese dalla data fatidica, infatti, il pericolo maggiore, in attesa dei risultati, è quello della volatilità sui mercati, come conferma Antonio Bottillo, Country Head ed Executive Managing Director per l’Italia di Natixis Global Asset Management. Per quanto sia difficile prevedere i risultati e per quanto le proiezioni continuino a dare gli “unionisti” in vantaggio resta sempre la spada di Damocle di un gap tra i due fronti che è sempre più piccolo: in altre parole lo scarto tra un sì e un no è minimo e il risultato resta perciò ancora molto incerto.

Cosa fare allora?

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Da Natixis consigliano di organizzare il proprio portafoglio in modo da permettergli di affrontare le intemperie in arrivo e di irrobustirlo così da restare saldo tra i moti ondosi che l’estate porterà con sè e continuare a guadagnare anche al di là dell’evento. Anche perchè è bene ricordare che a prescindere dal risultato, almeno nell’attesa delle votazioni, l’incertezza sarà la protagonista di queste settimane e, come noi tutti ben sappiamo, è la prima nemica degli investitori.

In particolare fanno notare da Natixis (Londra: 0IHK.L - notizie) , dalla Brexit i mercati dovranno affrontare almeno due problemi. Il primo riguarda l’incapacità da parte di molti operatori, di riuscire a valutare il rischio politico. Il secondo, tutto interno al sistema di rilevazione inglese, riguarda l’inaffidabilità dei sondaggi pre-elettorali, come avvenuto alle ultime elezioni, sempre in terra inglese, dove hanno visto i Conservatori proprio quando i sondaggi davano non solo un testa a testa tra i due schieramenti, ma anche la possibile incapacità di creare una coalizione adatta a governare, cosa che, alla fine, invece, non si è minimamente verificata.

I report della paura

Nel Regno della Regina Elisabetta, la campagna elettorale è ormai in fase avanzata e i report che avvisano sui pericoli di un divorzio si moltiplicano facendo leva sulle cifre, quelle che rischiano di pagare i semplici cittadini. Guardando ancora i numeri si parla di qualcosa che parte dalle 2200 fino alle 5000 sterline l’anno a famiglia, questo l’impatto approssimativo sugli inglesi in caso di vittoria del Sì e quindi di un addio all’Unione. Le analisi di Goldman Sachs (NYSE: GS-PB - notizie) avvisano sull’andamento della moneta nazionale, quella sterlina che ha già subito una svalutazione notevole da agosto, ovvero da quando hanno iniziato a partire le sirene della sfida, ma che adesso, potrebbe perdere anche il 15-20% secondo la banca statunitense. La prima, ovvia conseguenza sarebbe quella di rendere più care tutte le merci importate, in primis il petrolio, con un aumento esponenziale dell’inflazione. Guardando invece alle osservazioni dell’Ocse, la Brexit rischierebbe di mettere ko il Pil con una contrazione che oscilla dal 2,7% al 7,5% per i prossimi 15 anni. Ma la paura e soprattutto le perdite, non saranno solo da parte inglese. La prima vittima sarà l’Europa stessa che si troverà a dover contrattare nuovi accordi con una nazione che, di fatto, è estranea.

Le conseguenze sull'euro

Anche se Londra non fa parte dell’Euro, le conseguenze a livello di fiducia sulla moneta unica già martoriata, sarebbero molto forti con conseguenze dirette sull’affidabilità dell’intero sistema, della tenuta degli spread e un’infiammazione del problema del debito dei periferici. Anche il prodotto interno lordo ne risentirebbe, sia a livello generale (tra uno 0,1% e uno 0,4%) che a livello nazionale con la Germania che rischia circa 58-60 miliardi. E l’Italia? Per Roma non ci sono buone notizie visto che , fuori gioco Londra, gli altri paesi dovranno aumentare la propria quota per gestire quella mancante dell’Inghilterra: in questo caso l’Italia dovrà mettere mano al portafoglio per circa un miliardo e 400 milioni di euro, senza contare che attualmente alcuni settori come il lusso, la moda e l’alimentare, permettono di registrare un attivo di 12 miliardi sulla nostra bilancia commerciale con Londra.

I nuovi accordi

Tornando al report di Natixis, infine, Bottillo avvisa che le agenzie di rating, nella burrasca che potrebbe seguire l’immediata uscita di Londra dall’Unione, si troveranno a dover nuovamente rielaborare i rispettivi rating alla luce di quanto in atto ma soprattutto dell’impatto negativo che i titoli finanziari britannici stanno registrando già da ora e che potrebbe ovviamente peggiorare in caso di un voto favorevole all’uscita, voto che porterebbe a un aumento dei costi di transazione. E questo porta a un secondo elemento: non dovranno essere rivisti solo i rating ma anche i trattati commerciali che legano Londra all’Unione, all’Eurozona e alle altre organizzazioni internazionali. Cosa significa questo? Che potrebbero passare altri 2 anni prima che la nuova Inghilterra “indipendente” abbia una propria identità, due anni di volatilità sui mercati.

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