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Referendum trivelle, voto politico con incognita astensione

La piattaforma dell'Eni "Angela Angelina", vicino a Ravenna. REUTERS/Stefano Rellandini (Reuters)

ROMA (Reuters) - Come succede di frequente quando si parla di referendum, anche la consultazione di domenica prossima, che riguarda una ventina di concessioni dei giacimenti di idrocarburi offshore, si è trasformata in una questione di politica nazionale, anche per le spaccature del Pd. E la recente inchiesta per presunta corruzione nell'assegnazione di appalti per un sito petrolifero in Basilicata - che ha provocato le dimissioni del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi (non indagata, a differenza del suo compagno) - ha rilanciato il tema del referendum, finora ignorato da gran parte dei cittadini. LA QUESTIONE AL CENTRO DEL REFERENDUM Il referendum riguarda un passaggio dell'ultima legge di Stabilità e chiede l'abrogazione delle concessioni per le piattaforme in mare che si trovano entro 12 miglia nautiche dalla costa e dalle aree protette. Secondo i dati del ministero dello Sviluppo, in totale le concessioni interessate sono 21: sette in Sicilia, cinque in Calabria, tre in Puglia, due in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Si tratta in grandissima parte di impianti Eni ed Edison. Si tratta di impianti precedenti alla normativa attuale che, per evitare rischi ambientali, consente attività di estrazione solo oltre il limite delle 12 miglia. Chi è favorevole a porre fine alle concessioni vota sì, mentre chi vuole che si continui a estrarre gas e petrolio anche da quegli impianti vota no. Perché il referendum sia valido occorre raggiungere il quorum, cioè che il 50% più uno degli elettori vada alle urne. Qualora il referendum superasse il quorum e il sì vincesse, le piattaforme non sarebbero chiuse immediatamente, ma alla fine dei periodi di concessione o proroga già autorizzati (o già richiesti). Secondo i sostenitori del referendum, il gas prodotto da questi impianti corrispondeva nel 2014 a poco più dell'1% dei consumi italiani, mentre per il petrolio la percentuale scendeva allo 0,8%. Rinunciarvi dunque non avrebbe un costo eccessivo, soprattutto mentre aumenta il peso delle energie rinnovabili. Per i sostenitori del no (tra cui ci sono anche esponenti sindacali), oltre a far rischiare il licenziamento a migliaia di dipendenti di aziende energetiche, il referendum aggraverebbe le necessità di approvvigionamento di energia italiane e il trasporto di greggio per mare, non eliminando dunque i rischi di inquinamento. ASTENSIONISMO Come in altre consultazioni, anche stavolta c'è il rischio dell'astensionismo. Negli ultimi 19 anni, solo i quesiti dell'acqua del 2011 sono riusciti a superare il quorum. Il premier e segretario del Pd Matteo Renzi, che è contrario al referendum, ha rivendicato la legittimità dell'astensionismo, nonostante le critiche della minoranza del suo partito. Peraltro i quesiti, sostenuti dalle associazioni ambientaliste e da partiti di opposizione come Sel e M5s, sono stati promossi da nove Regioni governate in grandissima parte dal Pd: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. I sostenitori parlano apertamente di un'iniziativa sulla politica energetica del'Italia, a favore delle energie rinnovabili e l'efficienza energetica, riducendo le emissioni di gas a effetto serra. Per Renzi l'Italia è già all'avanguardia nel settore delle rinnovabili, e anche raddoppiando la quantità di energia prodotta da rinnovabili "noi non abbiamo la possibilità nei prossimi dieci anni di fare a meno di carbone, gas e petrolio". (Massimiliano Di Giorgio) Sul sito it.reuters.com le notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia