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Rivoluzione Trump sul bilancio USA

Come previsto, ieri è andato in scena in Europa l’inseguimento agli indici americani, che avevano già approfittato la sera prima, a mercati europei chiusi, degli esiti non troppo severi delle decisioni FED sui tassi.

Ho cercato di spiegare nel commento di ieri i motivi per cui i mercati finanziari, che lavorano su scenari sempre più abbreviati, avrebbero potuto gioire, nonostante il rialzo dei tassi USA, per la conferma da parte della FED del percorso di avvicinamento graduale alla normalizzazione monetaria, fissata ad un tasso obiettivo del 3% da raggiungere solo nel corso del 2019. Due anni di tempo per rimuovere una politica monetaria accomodante, secondo il punto di vista dei mercati, non sono un lungo periodo, ma un’eternità. E’ ovvio che questo programma deve essere supportato da due precisi vincoli: Trump deve dimostrarsi un cane che abbaia, o magari ringhia, come abbiamo già visto, ma non morde; l’inflazione non deve rialzare la testa in modo strutturale. Sono due condizioni tra loro legate, poiché se Trump dovesse veramente attuare il suo programma “fenomenale”, sarebbe molto difficile assistere al sonno dell’inflazione sui livelli attuali o anche inferiori, come si aspetta la FED.

Ma quel che succederà magari tra qualche mese, ai mercati importa assai poco. Quel che conta è che per ora la Yellen ha voluto lanciare un messaggio rassicurante e questo basta alla speculazione di breve periodo. Questa comincia ad accettare le rose. Alle eventuali spine penserà più avanti.

L’Europa ha dovuto perciò allinearsi al ritorno del buonumore americano e lo ha fatto con entusiasmo, dato che anche dall’Olanda sono arrivate notizie rassicuranti per la stabilità europea. Il primo assalto del populismo è stato respinto e lo xenofobo Wilders si ritira all’opposizione nel Parlamento olandese con la coda fra le gambe.

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La seduta europea si è così aperta ieri con un forte gap rialzista ed è proseguita in terreno ampiamente positivo per tutta la giornata. Hanno brillato soprattutto le banche, e questo ha significato che i migliori indici d’Europa sono stati quelli che ne comprendono di più, cioè l’italiano Ftse-Mib e lo spagnolo Ibex, che hanno svettato con risultati di giornata appena inferiori al +2%, mentre gli altri indici europei hanno contenuto i guadagni al di sotto del punto percentuale.

L’arrampicata del nostro indice è riuscita finalmente a scavalcare, addirittura con il gap iniziale, la forte resistenza di area 19.800, che quest’anno aveva sempre respinto i tentativi di recupero del nostro mercato, e lo aveva condannato a permanere per due mesi e mezzo incastrato in un trading range delimitato dai minimi di area 18.500 ed i massimi di 19.800. L’uscita rialzista da questo box consegna una prospettiva di ulteriore recupero abbastanza allettante, ovvero 1.300 punti di potenziale rialzo, che potrebbero condurre il nostro mercato azionario a quota 21.100, cioè dove si trovava all’inizio dello scorso anno, prima della forte scivolata subita per colpa della Cina e dei bancari.

Non resta che osservare se sarà rispettata questa road map, che, evidentemente necessita del sostegno degli indici americani. Questi, ieri, dopo il balzo del giorno prima, hanno consolidato intorno alla parità. In USA l’attenzione ormai deve spostarsi su altre questioni, per trovare alimento ad ulteriori rialzi.

Trump ultimamente parla poco. E’ alle prese con la proposta di legge finanziaria, che in USA il Presidente deve presentare al Congresso entro febbraio (entro marzo quando si insedia un nuovo Presidente) e da questo deve essere discussa ed approvata.

L’ha presentata ieri e pare essere una vera e propria rivoluzione per la spesa pubblica americana. Vengono drasticamente tagliate le spese per l’ambiente e quelle sociali, abbattendo programmi di lotta alla povertà che nessun presidente repubblicano prima di lui aveva avuto il coraggio di attaccare. Stessa sorte per le spese per la diplomazia e per la partecipazione agli enti sovranazionali come ONU, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. La mannaia non risparmia le spese per la sanità, inducendo ad un maggior uso di assicurazioni sanitarie private e tagliando i contributi pubblici ai meno abbienti. Colpisce duramente anche l’istruzione e la cultura.

Crescono invece i fondi per i trasporti e l’edilizia, ma soprattutto la spesa militare (ben 52 miliardi di spesa in più dello scorso anno) e la sicurezza interna, con fondi accresciuti per assumere nuove guardie di confine, costruire centri di detenzione per i clandestini ed erigere il mitico muro anti-Messico.

E’ una legge finanziaria che, se venisse approvata così come viene proposta, punirebbe le categorie sociali più povere e ingrasserebbe adeguatamente le lobby (militari, assicurazioni private e costruttori), che lo hanno sostenuto nella sua scalata al potere.

E’ una proposta destinata ad accentuare la divisione sociale e politica nel suo paese, oltre che a rinfocolare polemiche, discussioni e proteste, come tutti i provvedimenti finora presentati. Ma è esattamente quel che aveva promesso in campagna elettorale. Bisognava pensarci prima.

Ora il cane sembra non solo abbaiare, ma anche piuttosto disposto a mordere. Forse un giorno se ne accorgerà anche nonna Yellen e smetterà di fingere che Trump non esista.

Autore: Pierluigi Gerbino Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online