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Saipem Algeria, motivazioni: no "prove dirette" corruzione per Scaroni, Eni

di Emilio Parodi MILANO (Reuters) - Non ci sono "prove dirette" che colleghino Eni, il suo ex AD Paolo Scaroni e il suo ex responsabile del Nord Africa Antonio Vella alle presunte tangenti pagate da Saipem per ottenere appalti in Algeria, ma solo indizi che non raggiungono "quel minimum probatorio richiesto per un rinvio a giudizio". Lo si legge nelle 70 pagine con cui il gup Alessandra Clemente motiva il proscioglimento dei tre imputati disposto il 2 ottobre scorso contenstualmente al rinvio a giudizio per corruzione internazionale di Saipem, dell'ex presidente Pietro Tali, dell'ex direttore operativo Pietro Varone, dell'intermediario algerino e braccio destro del ministro dell'Energia Chekib Khelil, Farid Bedjaoui, del fiduciario di Badjaoui, Samir Ouraied, e dell'ex dirigente Alessandro Bernini. Il giudice, nella sentenza di assoluzione per il terzo comma dell'articolo 425 del Codice di Procedura Penale ("indizi insufficienti") depositata sabato scorso, precisa che "gli elementi di accusa" a carico di Eni, Scaroni e Vella, "risultano cristallizzati. Il dibattimento su questo fronte non potrebbe consentire l'acquisizione di ulteriori elementi...", aggiungendo che "non si può certo basare il rinvio a giudizio sulla possibilità remota che qualche imputato decida di collaborare". Al centro della vicenda vi è l'acquisizione dal 2007 al 2009 di sette contratti d'appalto in Algeria del valore complessivo di 8 miliardi di euro per i quali secondo la procura sarebbero stati versati quasi 198 milioni di euro di tangenti a pubblici ufficiali algerini, attraverso consulenze fittizie e sovrafatturaziooni. A Eni, Scaroni e Vella, (oltre, per quel che riguarda Eni e Scaroni, una presunta regia globale) era contestato in particolare un solo contratto, relativamente al quale tutti gli imputati sono stati prosciolti. "SAIPEM INDIPENDENTE DA SCARONI ED ENI" "Dagli elementi raccolti - scrive il giudice - non si ritiene che vi sia stato, rectius che vi siano le prove che vi sia stato - un unico accordo corruttivo" per tutti i diversi contratti. "In particolare gli elementi in atti non sono sufficienti per ritenere provata o provabile una qualche responsabilità" di Scaroni, Vella ed Eni "non solo per i fatti di interesse di quest'ultima società... ma neppure in relazione all'accordo corruttivo intervenuto fra Saipem e le sue controllate, da un lato, e il ministro, dell'altro, avente ad oggetto gli appalti" per cui "vi è stato il rinvio a giudizio". "Le conclusioni alle quali si è giunti non minano né sminuiscono gli elemnti di prova a carico di alcuni degli attuali imputati... ma gli stessi elementi, solo perché hanno valore nei confronti di precisi soggetti in relazione a fatti specifici diversi, non possono essere sussunti in indizi gravi, precisi e concordanti anche nella vicenda Eni". Il giudice, nel motivare la sua decisione, inizia stabilendo che gli elementi di prova per prima cosa non certificano in alcun modo il "dominio di fatto di Eni e Scaroni su Saipem", ma al contrario trae "una differenza ontologica" fra le due società. Saipem "è una società quotata in borsa che svolge lavori anche per società concorrenti di Eni..." "è vietato dai regolamenti Consob che il socio di maggioranza possa avere peso nelle decisioni di carattere operativo della società". Poi le dichiarazioni di Varone "se hanno trovato diverse conferme per quanto riguarda la vicenda Saipem, non hanno trovato nessun valido riscontro rispetto al coinvolgimento di Scaroni, Vella ed Eni". "NON ILLECITI INCONTRI IN ALBERGO SCARONI-MINISTRO" "Non possono costituire conferma delle accuse - scrive il gup - i diversi incontri informali tra Scaroni e il ministro algerino, secondo il pm del tutto inusuali rispetto alle prassi di queste società.. Gli incontri avvenuti in sedi non istituzionali e a volte anche in stanze d'albergo... non hanno di per sé nessuna connotazione illecita". Le dichiarazioni rese dagli attuali AD di Eni e Saipem, rispettivamente Claudio Descalzi e Stefano Cao, secondo il giudice, "non solo sono state in parte smentite da elementi oggettivi, ma non riescono ad acquisire la valenza di indizi di colpevolezza". Sulle presunte sovraffatturazioni il gup scrive poi che "niente collega i soldi corrisposti... ad Eni e o ai suoi vertici". "E' evidente, e nessuno lo nega, - si legge nelle motivazioni - che vi sia stato un giro di denaro di dimensioni colossali che vede coinvolte, oltre la Saipem in tutte le sue declinazioni, anche i subcontractors Lead, Ogec e Pearl Partners, che ha come destinatari Bedjaoui e Omar Habour (entrambi definitisi molto vicini al ministro e quindi nella posizione di poter influire sulla gestione dei contratti legati alle Oil Company), senza valide giustificazioni". "Ma, neppure leggendo i documenti bancari..., - conclude il gup Clemente - emerge in alcun modo il coinvolgimento di Eni, coinvolgimento che certo non può essere fondato sulla base della petizione di principio 'In Algeria si poteva lavorare e fare affari solo accettando queste modalità corruttive e quindi anche Eni deve aver fatto così per ottenere quanto ha ottenuto', in mancanza di elementi concreti e specifici al caso concreto in esame". La procura di Milano ha annunciato che valuterà se presentare ricorso in Corte di Cassazione contro le assoluzioni. Il 3 ottobre scorso il gup aveva inoltre ratificato il patteggiamento a due anni e 10 mesi, oltre alla confisca di 1,3 milioni di franchi svizzeri, per Tullio Orsi, presidente e AD di Saipem Contracting Algerie dal 2005 al marzo 2010. Il processo a Saipem, per la legge 231, e agli altri imputati - tutti, compresa la società, hanno dichiarato la loro estraneità alle accuse - inizierà in Tribunale a Milano il prossimo 2 dicembre. Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia