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Savona denuncia il pericolo Bitcoin: "Serve una Bretton Woods". Ma, forse, esagera

Foreign Press Association in Italy. Press conference by Paolo Savona, Minister for European Affairs. In the picture Paolo Savona. Rome, October 8th,  2018 (Photo by Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images) (Photo: Mondadori Portfolio via Getty Images)
Foreign Press Association in Italy. Press conference by Paolo Savona, Minister for European Affairs. In the picture Paolo Savona. Rome, October 8th, 2018 (Photo by Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images) (Photo: Mondadori Portfolio via Getty Images)

I Bitcoin sono una minaccia per il sistema monetario internazionale. E se banche centrali e stati non interverranno con una loro regolamentazione su scala globale, c’è il rischio che scatti la legge di Gresham: “Le monete cattive si mangiano le monete buone”. Tradotto: le criptovalute rischiano di minare la stabilità del sistema basato su dollari, euro, yuan e compagnia. La lectio magistralis che questa mattina il professor Paolo Savona ha tenuto nella sua Cagliari è stata un’occasione per lanciare il grido d’allarme. Per il presidente della Consob, serve una nuova Bretton Woods. Le autorità statali devono sedersi insieme ad un tavolo e decidere cosa fare delle criptovalute. “Bretton Woods aveva imposto il dollaro americano come valuta di riferimento per tutte le altre, garantendo stabilità e sviluppo economico per tutti i partecipanti al sistema” racconta ad HuffPost il professor Luca Fantacci, docente di storia economica e monetaria alla Bocconi di Milano. “Saltato quel sistema, nessuna moneta è ascesa al ruolo di valuta di riferimento internazionale”. Il rischio, agitato da Savona, è che Bitcoin e monete sorelle possano candidarsi ad assumere quel ruolo.

Parole di peso, quelle pronunciate in Sardegna. Non solo perché uscite dalla bocca del presidente della commissione che deve vigilare sulle attività di borsa. Ma anche per la tempistica. Da qualche giorno, la Cina ha annunciato il divieto di effettuare pagamenti in Bitcoin sul proprio territorio. Oggi sono in circolazione circa 2.000 criptovalute. Il volume delle criptotransazioni, secondo le stime della Consob riportate oggi da Savona, è nell’ordine dei 2.2 trilioni di miliardi di dollari. “Il problema è che il Bitcoin, la cripto più famosa, non è una moneta” spiega Fantacci. “Ha un valore troppo volatile, soggetto a frequente speculazione. Una moneta, per essere riconosciuta come tale, ha bisogno di stabilità”. Si è cercato di risolvere il problema della volatilità con l’introduzione delle stable coin, una famiglia di criptovalute di seconda generazione. “Si tratta di valute private con un valore collegato a quello di una valuta statale. Un Tether – la più diffusa – vale quanto un dollaro”. Ma le stable non sono così stabili come dovrebbero. “La società emittente non è in grado di garantire un corrispettivo in dollari per tutti i Tether ormai in circolazione. E poi, questa società non è sottoposta a controlli di trasparenza da parte delle autorità di vigilanza monetaria. Quindi temo che le criptovalute non potranno mai essere considerate una valuta stabile, cioè monete a tutti gli effetti”.

Ma se non sono monete, allora i Bitcoin cosa sono? Non esiste una definizione univoca di criptomoneta. “Faccio prima a dirle cosa non sono” risponde Fantacci con un sorriso. “In Germania le hanno assimilate ad attività finanziarie (obbligazioni, azioni, derivati ecc.). Ma c’è una differenza significativa: le attività finanziarie hanno sempre un’emittente. C’è sempre qualcuno che deve rispondere come debitore. Una persona giuridica chiamata a risponderne anche in sede legale”. Questo discorso non vale per i Bitcoin. Perché dietro alle valute crittografate c’è la tecnologia Blockchain. “Nelle transazioni effettuate in cripto, l’identità di chi sta dietro ai pagamenti è al cento per cento anonima”. La Blockchain è un registro virtuale, in rete, dove le transazioni vengono registrate in maniera automatica. La crittografia garantisce la sicurezza dei pagamenti, ma anche la segretezza dell’identità di chi li effettua. La differenza tra pagamenti crittografati e pagamenti in banca è che i primi non prevedono un mediatore, come lo sono invece le banche nel secondo caso. “Ricordiamoci che i pagamenti elettronici esistevano anche prima dell’arrivo delle criptovalute. Sono pagamenti elettronici tutti quelli che effettuiamo con bancomat, carte di credito o tramite bonifico. Ma in ogni caso esiste un soggetto mediatore, solitamente una banca”. Con i Bitcoin siamo invece di fronte ad una finanza totalmente svincolata, non a caso detta ‘decentralizzata’.

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Il problema dei Bitcoin è che non sono valute a corso legale. E quindi le persone preferiscono affidarsi a quelle tradizionali. “Con la Blockchain c’è disintermediazione, efficienza e rapidità nelle operazioni finanziarie” spiega Fantacci. “È il grande vantaggio delle cripto. Però gli manca un quadro regolamentare che le renda altrettanto affidabili. Si tratta di coniugare queste due necessità”. Per risolvere il dilemma dei Bitcoin si deve per forza passare da un intervento normativo. “Regole che aumentino trasparenza e sicurezza delle criptotransazioni. Ma serve anche collaborazione tra soggetti tradizionali (le banche in primis) e quelli che nascono sull’onda lunga di queste nuove tecnologie, come le start-up del fintech e della finanza decentralizzata”.

Ed è in questo delicato passaggio che si inserisce il ragionamento del presidente Savona, quando a Cagliari afferma che gli equilibri del mercato finanziario dipenderanno dal grado di legittimazione garantito alle cripto dalle autorità politiche e monetarie. Serve una nuova Bretton Woods, questa volta per capire come gestire l’ascesa delle criptovalute. “Non si tratta di una proposta provocatoria. Sono in tanti, fin dalla crisi finanziaria del 2008, ad aver invitato a ridisegnare il sistema monetario internazionale”. Ma che cosa è stata Bretton Woods? “Nel 1944, in questa località del New Hampshire, i rappresentanti degli Alleati, prossimi alla vittoria nella seconda guerra mondiale, si incontrarono per decidere quale sistema monetario avrebbe dovuto governare l’economia internazionale del dopoguerra, per garantire sviluppo e stabilità a tutti i partecipanti, come è successo all’Italia del boom economico. In sostanza, le valute di mezzo mondo furono agganciate al valore del dollaro americano, la regina delle valute. Un sistema di tassi di cambio fisso. Che dava stabilità e prevedibilità agli scambi internazionali”.

Il sistema di Bretton Woods finì nel 1971, quando il presidente americano Richard Nixon pose fine alla convertibilità fissa del dollaro. “Chi oggi invoca una nuova Bretton Woods – chiarisce Fantacci – spera di tornare a quell’epoca d’oro. Perché oggi tra le valute c’è una competizione internazionale durissima, dove ogni stato e ogni banca centrale modella il valore della propria moneta per proteggere i propri interessi nazionali”. Il dollaro continua ad avere preminenza, ma la sfida è aperta: prima c’erano lo yen e il marco tedesco. Ora è il turno di euro e yuan cinese. “Siamo in piena guerra valutaria. Se tra monete c’è un rapporto conflittuale, non esiste un punto di riferimento a livello globale”. Così si creano spazi di opportunità per le criptovalute. Queste, per natura, possono scavalcare le normative nazionali con facilità. Come il Bitcoin, “ma anche Diem, la cripto di Facebook. Una moneta che potrebbe contare su un bacino di miliardi di utenti, praticamente tutti gli iscritti al social. Se la moneta coniata da Mark Zuckerberg dovesse entrare in piena operatività, allora ci sarebbero implicazioni politiche, non solo economiche, importantissime”.

A quel punto, le monete ‘cattive’ potrebbero mangiarsi quelle ‘buone’, come ha dichiarato Savona. Le criptovalute sono dirette concorrenti delle valute tradizionali? “Per Savona le cripto sono ‘cattive’ nel senso che non sono trasparenti e neanche affidabili da un punto di vista giuridico. Con la loro volatilità, rischiano di inquinare il terreno. Ma io sono molto meno preoccupato del presidente della Consob. E ora le spiego perché” conclude Fantacci. “Bitcoin e sorelle sono beni scarsi. Vengono prodotti in quantità limitata. E con il crescere dell’interesse mediatico il loro prezzo è aumentato”. D’altronde, queste sono le leggi del mercato: se la quantità di un bene è fissa e la domanda dello stesso aumenta, allora sale anche il prezzo. Ed è quello che sta succedendo negli ultimi anni al Bitcoin. “Una moneta il cui prezzo aumenta costantemente, però, non è un incentivo ad essere spesa. Chi ha ‘in tasca’ un Bitcoin ha interesse a tenerlo nel portafogli. Perché il suo valore salirà. Mentre i nostri euro non salgono di valore. Se sulla banconota c’è scritto 10 euro, quella banconota conserverà un valore di 10 euro. Non credo che i Bitcoin possano entrare in circolazione e diventare monete. Non ci sono gli incentivi necessari”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.