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SPECIAL REPORT / Perché i supermercati italiani vuoti terrorizzano l'Eurozona

Un supermercato a Milano. REUTERS/Alessandro Garofalo (Reuters)

di Gavin Jones ROMA (Reuters) - "Tre al prezzo di due" era l'offerta speciale più comune nelle catene di supermercati che fanno capo al gruppo guidato da Giorgio Santambrogio. Ma è stata usata pochissimo quest'anno, e la ragione spiega anche perché gli sforzi di resuscitare la moribonda economia italiana stiano fallendo. "La gente non fa scorta perché sa che i prezzi si abbasseranno nel giro di un mese", spiega Santambrogio, AD del Gruppo VéGé, organizzazione della grande distribuzione con sede a Milano che raccoglie 1.500 punti vendita. "I clienti chiedono sconti sempre più forti". L'Italia è a un punto morto: segnati da anni di blocchi degli stipendi e scettici sulla capacità del governo di risollevare l'economia, gli italiani non spendono, e riducono anche le spese basilari. La debolezza della domanda ha spinto le aziende ad abbassare i prezzi nella speranza di riportare la gente nei negozi. Quest'estate l'Italia è scivolata in deflazione per la prima volta dal 1959, per tornare a salire in ottobre di uno scarno 0,1% tendenziale. La caduta dei prezzi erode gli utili delle aziende e porta a riduzioni salariali e perdita di posti di lavoro, che deprimono ulteriormente la domanda. Risultato: l'Italia è sull'orlo di una spirale deflazionistica simile a quella che ha bloccato il Giappone negli ultimi vent'anni. E' questo lo scenario da incubo che i policymaker, in primis il numero uno della Banca centrale europea Mario Draghi, cercano disperatamente di evitare. La terza economia dell'area euro è in buona compagnia. La deflazione - ossia il continuo calo dei prezzi al consumo - è considerato un rischio per l'intera eurozona, e in particolare per gli Stati meridionali. I prezzi scendono da 20 mesi in Grecia e da quattro in Spagna, ad esempio. Ma l'Italia, col suo debito pubblico monstre, è il Paese che desta più preoccupazione. [ID:nL6N0TH2WB] La ragione per cui la deflazione è vista in modo diverso nei differenti Paesi della parte sud del blocco è almeno in parte culturale. Greci e spagnoli sono storicamente 'big spender'. L'economia spagnola è cresciuta per un decennio grazie alla bolla immobiliare e dei consumi scoppiata poi nel 2008. La Grecia è cresciuta molto nello stesso periodo, prima di finire in ginocchio nel 2009. Quest'anno il calo dei prezzi sta aiutando Atene e Madrid a vendere i loro prodotti sia in patria che all'estero, sostenendo la ripresa. Gli italiani, invece, sono per tradizione grandi risparmiatori. Secondo Chiara Saraceno, professoressa di sociologia all'Università di Torino, una delle ragioni è che tradizionalmente i genitori italiani risparmiano per decenni per poter poi acquistare una casa ai figli. Un altro fattore è che l'economia italiana si basa sull'uso dei contanti: gli italiani hanno meno carte di credito a testa di qualunque altro Paese nell'eurozona a parte la Slovacchia, secondo i dati della Bce. Questo rappresenta un freno ai consumi, perché chi usa la carte di credito acquista più liberamente. Anche le case che i genitori acquistano per i figli tendenzialmente vengono pagate in un'unica soluzione anziché ricorrendo ai mutui. Come il Giappone, l'Italia ha una delle popolazioni più anziane e in più rapido invecchiamento del mondo - il genere di persone che non spendono. "Sono i giovani che spendono di più e si assumono dei rischi", spiega Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, secondo il quale negli ultimi anni le persone giovani sono state le più colpite dalla crisi. La gente tende a spendere di più quando vede davanti a sé un futuro radioso. Invece la fiducia degli italiani ha subìto un'erosione costante negli ultimi vent'anni. In Italia, come in Giappone, l'assenza di crescita economica è ormai cronica. "In entrambi i Paesi c'è una datata mancanza di fiducia nei politici e nella loro capacità di cambiare e migliorare le cose", dice Axel Berkofsky, professore di storia asiatica all'Università di Pavia e autore di studi comparati Italia-Giappone. LA TRAPPOLA DEL DEBITO Ad alimentare i timori degli economisti è il maggiore handicap italiano: un debito pubblico pari al 132% del Pil, in costante crescita. L'aumento dei prezzi rende più semplice per Paesi con un alto debito come l'Italia pagare gli interessi sui loro bond. E il debito viene misurato in proporzione al Pil, quindi quando il Pil cresce il debito scende. Il Pil è misurato in denaro, per cui l'aumento dei prezzi - l'inflazione - spinge il livello del Pil anche se l'economia è in stagnazione, come nel caso dell'Italia. Ma se c'è stagnazione e i prezzi non crescono, allora il rapporto debito/Pil sale: una situazione che potrebbe riaccendere tra gli investitori il panico che quattro anni fa innescò la crisi economica e del debito nell'eurozona. Marcello Messori, professore di economia all'Università Luiss di Roma, stima che, in assenza di crescita, i prezzi in Italia dovrebbero salire di almeno il 3,2% l'anno perché il debito cali come prevedono le regole Ue. "Vedo l'enorme pericolo che saremo ancora in questa situazione tra sei mesi, e più dura, più sarà difficile uscirne", dice Gustavo Piga, professore di economia all'Università Tor Vergata di Roma. Sebastiano Salzone, 33 anni, cinque anni fa si è trasferito con la moglie a Roma dalla Calabria per prendere in gestione lo storico Caffè Fiume in via Salaria, una strada del centro piena di negozi e molto trafficata. Salzone era entusiasta della sfida. Ma dopo quattro anni di recessione, la sua attività fatica a sopravvivere: "Quando l'ho rilevata mi avevano detto della debolezza della domanda avvertendomi di non alzare i prezzi. Ma ora sono costretto a tagliarli". Un pranzo al Caffè Fiume con un piatto di pasta, acqua minerale, frutta e caffè costa 7,3 euro, la stessa cifra che si pagava otto anni fa. A settembre Salzone ha tagliato il prezzo dei panini di 40 centesimi portandolo a 2,8 euro, e quello delle bibite di 30 centesimi a 2 euro. Nonostante i prezzi più bassi, le vendite negli ultimi tre anni sono calate del 40%, circa 500 euro al giorno. E Salzone ha ridotto lo staff da 15 a 12 persone. NON SI PUO' RISPARMIARE, NON SI SPENDE Fino a metà degli anni Novanta gli italiani risparmiavano una buona parte del loro reddito, rispetto alle altre economie avanzate. Il risparmio è diventato un salvagente contro gli imprevedibili effetti sull'economia dell'instabilità politica, che ha visto cambiare quasi un governo all'anno dalla Seconda guerra mondiale. Ed era incoraggiato anche dagli alti tassi di interesse sui titoli di Stato italiani. Con il rallentare della crescita e la diminuzione del reddito disponibile, però, la gente ha risparmiato somme sempre più piccole in proporzione al reddito. Quest'anno la percentuale di risparmio è scesa all'8%, un terzo del livello registrato nel 1991. Anche la spesa è scesa costantemente. Nel 2013, l'italiano medio aveva a fine mese meno potere d'acquisto che all'inizio del secolo, secondo l'Istat. Per il cittadino che fa la spesa il calo dei prezzi può sembrare una benedizione; ma si tratta di un fenomeno che porta alla chiusura di negozi, stipendi più bassi e perdita di posti di lavoro, una spirale letale. Da quando l'Italia è entrata in recessione nel 2008, ha perso il 15% della sua capacità manifatturiera e ha visto chiudere oltre 80.000 tra negozi e aziende. Quelli che sono rimasti sul mercato riducono i prezzi per cercare di sopravvivere. La ditta di serramenti Iaquone è il tipo di azienda familiare che costituisce la spina dorsale dell'economia italiana. Produce porte e finestre da 25 anni a Frosinone e impiega nove persone. Ma il proprietario Benedetto Iaquone dice che ora la gente cambia le finestre solo quando si rompono. Per tenere in piedi la sua impresa da 500.000 euro all'anno, Iaquone sta tagliando i prezzi. Ha cambiato fornitori, riducendo i costi per l'acquisto di vetro e metallo rispettivamente del 15% e del 10%. Così facendo contribuisce ad alimentare la spirale deflazionistica. "I guadagni di tutti sono più bassi ma almeno riusciamo a portare avanti il lavoro", spiega l'imprenditore 45enne. "Mi ripeto sempre che se riusciamo a superare questo periodo ne verremo fuori molto forti, ma onestamente non sono ottimista per il futuro". Nelle maggiori catene italiane di supermercati, fino al 40% dei prodotti vengono venduti al di sotto del prezzo raccomandato, secondo esperti del settore. "C'è un'erosione costante dei nostri margini", dice il numero uno di VéGé, Santambrogio. "La gente compra solo i prodotti in offerta speciale". OPZIONI LIMITATE E' difficile immaginare come apparirebbe l'Italia dopo un decennio di deflazione analoga a quella giapponese. E' già tra le economie più fiacche del mondo, con la disoccupazione tra i 15-24enni al 43%. Come membro dell'eurozona, le opzioni di Roma sono limitate. Non può abbassare i suoi tassi di interesse né svalutare la moneta. Il bilancio dell'Italia deve seguire le regole dell'Unione europea. Il perdurare della deflazione spingerebbe molte imprese a uscire dal mercato, provocherebbe un ulteriore calo degli stipendi e ancora un aumento della disoccupazione, secondo gli economisti. L'inevitabile lievitare del debito pubblico potrebbe portare alla fine al default e all'uscita forzata dall'euro. Le opinioni su come evitare il rischio sono divergenti. Alcuni economisti ritengono che la Bce dovrebbe seguire l'esempio della Federal Reserve statunitense e iniettare migliaia di miliardi di euro nell'economia dell'eurozona stampando moneta per acquistare bond governativi. Il numero uno dell'Eurotower Mario Draghi la settimana scorsa ha lasciato la porta aperta alla possibilità di stampare moneta, dicendo che l'inflazione "eccessivamente bassa" dell'area euro dev'essere fatta salire rapidamente con qualsiasi mezzo. Molti nell'Europa meridionale dicono che l'Ue dovrebbe lasciare da parte le sue rigide regole fiscali e investire con decisione nella creazione di posti di lavoro. Sostengono anche che la Germania, che ha la più forte economia della regione, dovrebbe fare di più per alzare al suo interno stipendi e prezzi. I Paesi mediterranei devono infatti applicare ai propri prodotti prezzi più bassi di quelli tedeschi dal momento che le loro merci sono meno competitive. Ma con l'inflazione in Germania allo 0,7%, la necessità di mantenere i prezzi ben sotto quelli tedeschi spinge gli Stati dell'Europa meridionale in deflazione. In Italia si sta cercando di arrestare il calo dei prezzi. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi a maggio ha tagliato le tasse di 80 euro al mese per i redditi più bassi. Ha anche proposto di mettere in busta paga, per chi lo voglia, il Tfr. Ma finora le misure adottate hanno sortito scarsi effetti, in parte perché gli italiani non ci credono davvero. Un sondaggio di Euromedia mostra che, nonostante il bonus fiscale, il 63% degli italiani ritiene che le tasse saliranno l'anno prossimo. Se, come sembra, la maggior parte degli italiani sta risparmiando il bonus, la situazione ricorda quella del Giappone alla fine degli anni Novanta, quando i giapponesi preferivano mettere da parte i vari bonus e tagli fiscali anziché spenderli. Renato Gu, un energico 31enne arrivato in Italia dalla Cina all'età di sei anni, sta chiudendo il negozio di scarpe da donna che aveva avviato quattro anni fa nel cuore di Roma, perché non riesce più a sostenere i costi. Gu spiega che i negozi come il suo, che hanno come target la classe media, risultano i più colpiti dalla crisi, con i clienti abituali che cercano altrove prodotti sempre più a buon mercato. La sua impressione è che il bonus da 80 euro in busta paga per i redditi più bassi non abbia avuto "alcun impatto" sulla spesa. "Valuterò qualunque opportunità di lavoro", dice Gu, che sta per unirsi all'esercito italiano dei disoccupati, circa 3,3 milioni di persone. "Ma ne ho avuto abbastanza di gestire un'attività mia". - Hanno collaborato Giselda Vagnoni da Roma, Luca Trogni da Milano Sul sito www.reuters.it altre notizie Reuters in italianoLe top news anche su www.twitter.com/reuters_italia