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Tassi negativi: in Danimarca chi ha un mutuo viene pagato

Follie di quest’economia moderna, pazzie derivanti dal capovolgimento di tutte le regole, soprattutto quelle basilari, su cui la finanza è nata e si è retta da secoli. Chi contrae un debito non solo non paga interesse ma, in alcuni casi è pagato a sua volta.

Assurdo?

No, in Danimarca succede e se è vero come pare che ci si possa trovare dei soldi sul proprio conto corrente al termine del primo trimestre, un grazie dev’essere dato alle banche centrali ma soprattutto al fatto di aver scelto un tasso variabile del mutuo con uno spread inferiore al tasso di indicizzazione. Per il momento il caso si può annoverare nella casistica di quelli estremi o per lo meno inconsueti ma è interessante ricordare che i rendimenti dei bond tedeschi viaggiano in territorio negativo su tagli che arrivano fino a 9 anni. Per non parlare di quelli giapponesi. Un mix che nasce, anche, a causa della deflazione ormai conclamata in diverse zone dell’Europa e dalla competitività tra le valute a livello mondiale: in questo particolare periodo storico le istituzioni finanziarie si trovano anche a dover ricoprire il non certo facile ruolo lasciato scoperto dalla politica classica, quella che non solo non raccoglie più consensi e spesso nemmeno legittimazione da parte della base, ma anche non porta a termine riforme radicali per proteggere il sistema stesso da una crisi che ha radici ormai lontane nel tempo. In Italia, a questo, si aggiungano anche i tristemente famosi privilegi politici di caste e costi vari.

Il mix diabolico

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Ma al di là di tutto questo, e tornando alla realtà odierna, la concorrenza tra valute nasce con lo scopo, anche, di promuovere un export per compensare la debolezza della domanda interna; purtroppo, essendo la situazione globale generalmente difficile e incerta, molto spesso si è costretti a forzare la mano oltremisura sul fronte della svalutazione competitiva (realtà di fatto ma mai ufficialmente riconosciuta) , strategia che ha dato vita a sua volta alla guerra monetaria. Anch’essa ufficialmente mai riconosciuta. Era il 2009 quando l’allora governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, dava il via alla partita e poco dopo, era il 2012, dovette ricevere le (motivate?) accuse dell’allora ministro brasiliano delle Finanze Guido Mantega il quale ribadiva che la nazione carioca, come poi molte altre inseguito, era stata costretta a prendere misure cautelative per evitare che il real si apprezzasse troppo e compromettesse le sue esportazioni, settore sul quale la nazione verdeoro, e ovviamente non solo lei, era ed è tuttora particolarmente esposta. Il resto è storia ben risaputa: tutti sono partiti con la stessa strategia che, di fatto, ha annullato i vantaggi per i partecipanti rendendo nel frattempo praticamente nulli, se non negativi, appunto, i rendimenti dei titoli di stato creando però un altro paradosso. Non essendo quest’ultimo valore lo specchio della realtà economica di un paese ma solo il risultato di una strategia finanziaria, molti bond di nazioni a rischio o, nella migliore delle ipotesi non competitive, risultano con un rendimento inferiore rispetto ad altre ben più affidabili.

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