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Terremoto del Belice, le ombre della ricostruzione 45 anni dopo

Nelle zone della Sicilia devastate dal sisma del 1968 mancano, secondo i sindaci della valle, 390 milioni di euro

Belice (Fotolia)

Quarantacinque anni fa, il terremoto violentissimo e la devastazione di interi centri abitati; quarantacinque anni dopo, il legittimo desiderio di vedere completata la ricostruzione del territorio del Belice, la zona della Sicilia sud-occidentale in cui perirono 370 persone nel sisma e 90mila finirono sfollate nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968.

Per i sindaci della Valle del Belice, come riporta il Sole 24Ore, un tempo tra le zone più arretrate del Paese, mancano 390 milioni di euro per completare l’opera. All’epoca città di pregio storico, come Calatafimi e Salemi, furono pesantemente danneggiate; altre invece, come Gibellina e Salaparuta, rase al suolo. L’ultima legge di stabilità, approvata prima di Natale, stanzia 45 milioni di euro a favore della valle, che andranno poi ripartiti tra 14 paesi con un decreto apposito del Ministero delle infrastrutture.

Soldi ottenuti grazie a un taglio al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, mentre è ancora vigente un'accisa di 10 lire sul prezzo della benzina applicata per reperire fondi. Ma se nella congiuntura attuale 45 milioni di euro sembrano tantissimi, e non a torto, il terremoto di denaro pubblico che lo Stato italiano sgancia da decenni sembra non assestarsi mai. Ma è ancora la ricostruzione il senso principale del risarcimento dello Stato al Belice, dove le città nuove si svuotano, a causa della drammatica disoccupazione? I paesi, molti, sono stati rimessi in piedi ma lo sviluppo non è mai arrivato, malgrado il profluvio di monete.

E come in ogni terremoto all’italiana che si rispetti, non mancano i dubbi su come sia stata affrontata la fase successiva alla tragedia. Ancora nel 2007, come riportava un’inchiesta de La Repubblica, 21 comuni siciliani avevano uffici che si occupavano della ricostruzione, e non aperti a caso, ma con ancora centinaia di pratiche da smaltire sulle rispettive scrivanie. Solo tra Menfi e Partanna si consideravano oltre 1.700 richieste.

Sfollati? Dopo 40 anni era difficile crederlo. Le polemiche sui soldi ottenuti e reinvestiti nelle seconde case, magari al mare, ha invece una sua spiegazione: la legge numero 120 del 27 marzo 1987 prevedeva che dal finanziamento diretto al nucleo familiare si passasse al contributo per ricostruire l’intero patrimonio immobiliare. E poiché nel Belice agricolo non mancavano persone che avessero perso il magazzino, la stalla, la bottega, o la seconda casa, ecco il diritto di avviare due pratiche di finanziamento. Una possibilità che ha svantaggiato chi, in prima istanza, aveva ricostruito con un contributo più piccolo, a fronte di altri che hanno intascato il doppio risarcimento sfruttandolo, passato il tempo, discrezionalmente.

Ai problemi sullo sfruttamento del denaro pubblico si aggiungono poi la lentezza degli stanziamenti, anche nel parallelo con altri sismi nazionali; canonico il lamento dei sindaci coinvolti sulla disparità di trattamento con il Friuli e il suo terremoto: ancora alla commemorazione dello scorso anno, il coordinatore dei sindaci della Valle del Belice, Nicola Catania, ricordava che ''da uno studio comparativo tra il terremoto del Belice e quello del Friuli del 1976 effettuato dalla Ragioneria dello Stato, si evince che a somme rivalutate fino al 30 settembre 1995, il Belice ha avuto 12mila miliardi di lire ed il Friuli 29mila''. Seguono poi i conflitti di competenza tra gli enti deputati alla ricostruzione; le solite lentezze all’italiana a colpi di provvedimenti legislativi; la progressiva crescita numerica dei Paesi coinvolti nella ricostruzione: da 4 a 14, e poi infine a 21 nel 1976.

Un primo bilancio a otto anni dal sisma rivelava che i 348 miliardi e 650 milioni di lire stanziati avevano finanziato le opere di urbanizzazione ma non la costruzione di case. Non ha aiutato la chiarezza, negli anni successivi alla catastrofe, nemmeno l’istituzione di un Ispettore speciale per il Belice, legato al Ministero dei Lavori pubblici oppure la chiusura, nel 1991, dell’Ispettorato delle zone terremotate a favore del Provveditorato delle opere pubbliche, con la conseguente perdita di tempo, e con problemi di personale, che ha di fatto interrotto l’iter burocratico in corso.

Ancora a inizio 2012, l’assessore regionale al Territorio, Sebastiano Di Betta, prometteva alla Conferenza dei sindaci del Belice, che riteneva necessari altri 450 milioni di euro per archiviare la ricostruzione, di battersi affinché fossero inseriti nella modulazione dei fondi Fas ancora non assegnati almeno 100 milioni di euro per “opere di urbanizzazione primaria”. Gli anni passano, la questua non finisce e le polemiche continuano. Ma come scritto dal presidente Napolitano in occasione del 45° anniversario, alle autorità che hanno preso parte alle celebrazioni, “le drammatiche conseguenze di quel sisma impongono un responsabile impegno a ripristinare con celerità ed efficacia i tessuti sociali ed economici devastati; si operi affinché i processi di trasformazione del territorio siano realizzati con l'attenzione dovuta a sicurezza, incolumità, rispetto dell'ambiente e le sue insostituibili risorse". Con efficacia, insomma, e soprattutto, 45 anni dopo, con celerità.