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Tim, Gubitosi lascia le deleghe. I dubbi di Fitch sull'offerta del fondo KKR

ROME, ITALY - MAY 14: Luigi Gubitosi attends the A-Words at Ara Pacis on May 14, 2019 in Rome, Italy.  (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images for Lega Serie A) (Photo: Valerio Pennicino via Getty Images)
ROME, ITALY - MAY 14: Luigi Gubitosi attends the A-Words at Ara Pacis on May 14, 2019 in Rome, Italy. (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images for Lega Serie A) (Photo: Valerio Pennicino via Getty Images)

Luigi Gubitosi ha rimesso le deleghe al cda e ha preso forma lo scenario ipotizzato con un interim del presidente Salvatore Rossi, a cui andrebbero le deleghe da amministratore delegato e l’incarico di direttore generale passerebbe a Pietro Labriola, attuale ceo di Tim Brasil. Dopo tre anni termina così anche l’era Gubitosi, arrivato nel novembre 2018 a guidare l’azienda, e rimane comunque in cda come consigliere. Tutto come da copione dopo l’offerta preliminare arrivata dal fondo americano KKR per tentare la scalata - solo annunciata per ora - all’ex monopolista delle telecomunicazioni. KKR ha ventilato un’offerta preliminare di 50,5 centesimi di euro per azione valutando così la società undici miliardi di euro. Il principale azionista di Tim, la francese Vivendi di Vincent Bolloré, che da tempo aveva messo all’indice l’ad Gubitosi dopo due profit warning e un investimento in Dazn rivelatosi deludente, ha però bocciato la proposta del fondo Usa, considerata troppo bassa.

KKR è già presente in una società controllata Tim. Si tratta di FiberCop, l’azienda nata per la fornitura dei servizi passivi sulla rete secondaria in fibra che in sostanza si occupa di creare l’infrastruttura, dove manca e nelle aree di competenze dell’incumbent, dagli armadietti (cabinet) fino alle case. Il cosiddetto ultimo miglio. Detiene una quota rilevante, del 37,5%, Fastweb ha il 4,5% e la quota restante (58%) è in capo alla controllante.

L’eventuale Opa che potrebbe lanciare il fondo americano KKR solleva diversi dubbi per le implicazioni che riguardano la proprietà della rete. La vicenda è all’attenzione del Governo Draghi che oggi, per voce del ministro all’Innovazione tecnologica Vittorio Colao, è tornato a ribadire l’interesse “a preservare la sicurezza del Paese e il buon sviluppo delle infrastrutture”. Non solo: la prossima settimana Tim sarà al centro anche di due audizione al Copasir: martedì Palazzo San Macuto ascolterà il presidente Ti Sparkle Spa, Alessandro Pansa. Tim Sparkle è la controllata del gruppo Tim che gestisce circa 550mila chilometri di cavi, di cui 450mila sottomarini, che mettono in collegamento diversi continenti e sui quali passano anche i dati sensibili delle comunicazioni intergovernative e dei servizi di sicurezza dei Paesi coinvolti dall’infrastruttura che ha il suo centro nevralgico in Sicilia nel Sicily Hub. Basti pensare che l′80% del traffico internet di Israele passa dall’infrastruttura di Sparkle. Le implicazioni strategiche che riguardano controllo dell’infrastruttura e dati di traffico sono evidenti. Mercoledi, al Copasir, sarà poi il turno del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti.

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I timori sulle intenzioni del fondo americano sono condivisi dai quarantamila lavoratori. “Evidentemente si stanno pagando le scelte del ‘Governo dei migliori’ che ha abbandonato la prospettiva del rilancio di un modello partecipato dallo Stato, quello del memorandum dell’agosto del 2020, a vantaggio del modello delle tante piccole reti dove lo Stato regala soldi ai privati, perde qualsiasi tipo di sovranità su un asset strategico come la rete ed aggrava il ritardo tecnologico del Paese. A noi tutto questo non sta bene! Chi sta decidendo di non decidere si assumerà la responsabilità dell’arretramento infrastrutturale del Paese e, soprattutto, delle migliaia di esuberi del settore che inevitabilmente queste scelte produrranno”, sottolineano i sindacati che lunedì saranno al Mise in presidio.

L’iniziativa di KKR potrebbe tuttavia non essere condotta in solitaria. Ieri sono
circolate voci, riportate da agenzie internazionali, su un possibile coinvolgimento del fondo Cvc nella proposta del fondo americano. Cvc non ha rilasciato commenti. Ma le intenzioni di KKR restano avvolte da una patina di incertezza. E non convincono nemmeno l’agenzia di rating Fitch. “La potenziale acquisizione di Telecom Italia da parte della società di private equity KKR, se procede e aumenta la leva finanziaria della società, potrebbe avere conseguenze negative sul rating”, ha affermato in una nota Fitch. “Sulla base di recenti esempi di operazioni simili nel settore delle telecomunicazioni”, spiega l’agenzia, “le strutture di finanziamento tendono ad avere una significativa componente di debito che aumenta la leva finanziaria a livelli coerenti con i rating nella categoria “B”.

D’altronde la reputazione del fondo americano non è delle migliori. Come ha ricordato qualche giorno fa il Fatto Quotidiano, KKR è stato in passato l’artefice di uno dei più grandi leveraged buy-out della storia della finanza. Un Lbo è una operazione finanziaria che non gode di buona reputazione: si tratta di acquisizioni predatorie basate su una forte leva finanziaria, ovvero indebitandosi e mettendo a garanzia dei prestiti contratti gli asset della azienda che si sta per rilevare. In altre parole, si acquistano società target senza tirare fuori i soldi. In un leveraged buyout di solito il rapporto tra debito e capitale può arrivare anche a 90 contro 10. Alla fine degli anni Ottanta, KKR, dopo una guerra al rialzo dei prezzi, riuscì a rilevare la società di tabacco e cib RJR Nabisco, nata poco tempo prima dalla fusione del gigante delle sigarette RJ Reynolds, vessato da pesanti contenziosi legali, e la Nabisco. Ma i due manager subito iniziarono a parlare due lingue diverse. Nello scontro si inserì il fondo americano KKR che alla fine riuscì a spuntarla con una offerta di 25 miliardi di dollari, la più grande acquisizione non petrolifera della storia. Una volta preso possesso della società, il fondo americano si dedicò a una attenta operazione di smembramento delle varie divisioni e al taglio del personale. Il più classico degli spezzatini.

La Tim già in passato ha fatto esperienza con un Lbo, quando nel 1999, due anni dopo la privatizzazione, Olivetti scalò Telecom con una Opa ostile, una delle maggiori operazioni di questo tipo in tutta Europa. Per ripagare i debiti contratti, Olivetti iniziò a vendere diversi asset avviando quel processo di ridimensionamento della società che solo fino a pochi anni prima, quando era in mani pubbliche, era considerata un gioiello delle tlc a livello globale, e oggi dopo anni di gestioni fallimentari, si ritrova gravata da un rosso di oltre diciassette miliardi di euro.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.