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Trump contro l'Italia: titoli a rischio e view degli analisti

Il made in Usa portato all'estremo. A questo rischia di portare la politica protezionista di Donald Trump, qualora dovessero realizzarsi i piani di imporre dazi del 100% sui prodotti europei, così come riferito dalla stampa internazionale.

La questione della carne

All'origine del contenzioso, quell'accordo che, già dalla metà degli anni 80 fu creato e successivamente venne rifiutato dagli europei, accordo che prevedeva l'export di carne bovina dagli Usa verso il Vecchio Continente; una carne che, però, le leggi statunitensi ammettevano essere trattata con ormoni, misura come ricordano da Coldiretti, il 98% dei consumatori rifiuta. Alla fine si è riusciti a raggiungere un accordo (2015) che permetterebbe l'accesso sugli scaffali del Vecchio Continente solo per carne selezionata, patto che, per gli Usa, non è stato mai rispettato. Da qui la decisione, in nome di quel commercio “equo” più volte citato dallo staff di Trump, di imporre dazi anche per i prodotti europei, italiani inclusi.

Stando a quanto riportato dal WSJ, intanto, così come la riforma sanitaria bloccata è stato preso come esempio dei futuri rapporti tra l'Amministrazione Trump e il Congresso, i possibili dazi sulle merci europee in arrivo negli Usa potrà essere interpretato come una sorta di parametro che Trump e il suo staff potrebbe adottare verso il resto del mondo. Il Dipartimento del Commercio Usa sottolinea come il settore dell'export carni sia cruciale per gli Stati Uniti visto che impiega circa 50mila unità lavorative, ha un valore di 6 miliardi di dollari l'anno e un indotto di 7,6 miliardi.

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La rabbia del repubblicano, però, adesso rischia di scagliarsi anche contro i prodotti italiani come la Vespa della Piaggio, con il titolo che poco prima delle 12 perdeva il 3,8%. Ma nel mirino anche l'acqua minerale della S.Pellegrino (in realtà in mano Nestlè).

Le reazioni degli analisti

Per quanto la notizia non sia generalmente positiva, gli esperti di Mediobanca (Milano: MB.MI - notizie) hanno sottolineato di voler attendere prima di un pronunciamento sul rating di Piaggio: i proclami di Trump hanno un margine di non realizzo e, come ricordano nel report, “le vendite di Piaggio negli Usa ammontano a circa il 5% del giro di affari annuale" ed è composta per la sua totalità da merce esportata visto che la società non ha impianti produttivi negli Usa.

Ma guardando ai numeri, oltre Piaggio, anche Brembo vede il 28% delle vendite sul Nord America mentre per quanto riguarda i titoli con i margini maggiormente esposti, Mediobanca a suo tempo citò nomi come Fca per l'80% e, a ruota, Luxottica (Milano: LUX.MI - notizie) , Safilo, Brunello Cucinelli, Autogrill (Milano: AGL.MI - notizie) , Campari (Milano: CPR.MI - notizie) , Amplifon (Londra: 0N61.L - notizie) .

Il problema non è di facile gestione anche perchè Washington sul fronte delle esportazioni nette è tra i primi posti della classifica italiana (la veta è divisa con la Germania) con 40 miliardi divisi tra settori come la meccanica strumentale (che da sola copre un quarto del totale), la moda, i mezzi di trasporto e, ovviamente, il settore alimentare. Un mercato che è cresciuto costantemente per otto anni consecutivi, l'ultimo dei quali, il 2016, con un rassicurante +2,7%, incremento che ha visto l'Italia nella classifica dei paesi che hanno potuto vantare un aumento delle esportazioni, unica con Giappone e India.

Per quanto gli Usa siano un grande paese è difficile immaginare come possano fare a meno di tanto di prodotti importati (e importanti) che arrivano dall'estero.

La crisi dei consumi

I suddetti dazi scaricheranno sul consumatore, il peso di una guerra commerciale scatenatasi in parallelo a una generale crisi dei consumi e delle vendite al dettaglio, con la diretta conseguenza di un facile perdita di diverse quote di mercato. Il tutto a favore dei corrispettivi marchi made in Usa (con tutti i doverosi dubbi circa la qualità). Una guerra commerciale che era partita inizialmente contro la Cina, accusata di invadere il mercato con prodotti a basso costo e quindi rea di una concorrenza sleale, ma anche contro il Messico a sua volta colpevole di rappresentare una frontiera comoda per la delocalizzazione indiscriminata da parte delle società internazionali le quali, di fronte alla possibilità di un costo della manodopera estremamente inferiore, non esitavano a spostare i propri stabilimenti al di là del confine centramericano. Una strategia che rendeva di fatto gli Usa un mercato solo di vendita per quelle stesse aziende che, prima, producevano su territorio statunitense e che ora, licenziati gli operai, pretendevano da questi, l'acquisto di prodotti fabbricati altrove. Un ragionamento che, in teoria, non fa una piega, e che ha portato alla proposta dei dazi (per tutti i paesi importatori) e aall'annullamento, da parte degli Usa, del trattato di libero scambio internazionale con l'Asia-Pacifico, il TTP che invece il Giappone aveva già ratificato come monito per Trump. Inutilmente.

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