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Tunisia nel limbo tra purghe di Saïed, Covid e ansie migratorie Ue

A woman infected by the Covid-19 coronavirus receives oxygen as a first aid at a hospital in the northwestern town of Beja on June 22, 2021 as Tunisia's health authorities cope with a spike in Covid-19 cases in the area. (Photo by FETHI BELAID / AFP) (Photo by FETHI BELAID/AFP via Getty Images) (Photo: FETHI BELAID via Getty Images)
A woman infected by the Covid-19 coronavirus receives oxygen as a first aid at a hospital in the northwestern town of Beja on June 22, 2021 as Tunisia's health authorities cope with a spike in Covid-19 cases in the area. (Photo by FETHI BELAID / AFP) (Photo by FETHI BELAID/AFP via Getty Images) (Photo: FETHI BELAID via Getty Images)

A tre giorni dal colpo di mano del presidente Kaïs Saïed, la Tunisia resta nel limbo di una crisi istituzionale e politica maturata in un contesto complesso, tra difficoltà economiche, emergenza Covid e ingerenze regionali. Il partito islamista moderato Ennahda, principale obiettivo dello scontro aperto dal presidente, sembra aver rinunciato a chiamare la piazza, allontanando - almeno per il momento - lo spettro di tensioni e violenze. Assieme ad altri due partiti - Qalb Tounes e Ayich Tounes - Ennahda è finito nel mirino della magistratura per finanziamenti illeciti, in particolare dai Paesi del Golfo. Il presidente non ha ancora nominato il nuovo premier che dovrebbe assisterlo nell’attività di governo ma ha continuato a far fuori i funzionari che considera un ostacolo. Dopo i ministri di Giustizia e Difesa, Saïed ha rimosso per decreto una ventina di alte cariche tra le quali spiccano il procuratore generale Tawfiq al Ayouni, il segretario generale del governo Walid al Dhahabi, il capo di gabinetto e numerosi consiglieri dell’ormai ex premier Mechichi.

Mentre le purghe continuano, l’Italia e l’Unione Europea guardano con preoccupazioni agli eventi tunisini soprattutto per la questione migranti. Proprio oggi era previsto a Roma un importante incontro tra Mechichi, il presidente Draghi e la ministra Lamorgese per definire i termini del primo accordo con l’Unione europea sul controllo dei flussi migratori e i rimpatri rapidi. Da quando il governo è stato rimosso e il Parlamento sospeso, a Roma e a Bruxelles regna un comprensibile senso di spaesamento. Il Viminale segue attentamente la situazione, lasciando le dichiarazioni alla Farnesina che si coordina con il ministero degli Esteri francese. Sulla situazione in Tunisia c’è “piena consonanza di vedute” tra il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il collega francese Yves Le Drian. Secondo quanto riferisce la Farnesina in un tweet, i due ministri hanno “auspicato il rispetto dello stato di diritto e il ritorno al normale funzionamento delle istituzioni per rispondere alla crisi sanitaria, economica e sociale”. Di Maio e Le Drian hanno quindi espresso “impegno comune a sostegno della stabilità”.

Il tema immigrazione rimbalza su siti e giornali ancora più forte dopo le dichiarazioni del procuratore generale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho, in audizione al Comitato Schengen. La Tunisia è il Paese di origine “di soggetti a rischio sotto il profilo del terrorismo. L’attentatore della chiesa di Nizza nell’ottobre scorso, Brahim Aoussaoui, era sbarcato a Lampedusa il 19 settembre”. Ma associare il limbo tunisino a un ipotetico aumento dei flussi migratori rischia di distogliere l’attenzione da quello che l’Italia e l’Europa potrebbero fare per un Paese considerato strategico a parole ma poco nei fatti.

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Per Silvia Colombo, responsabile di ricerca del programma Mediterraneo e Medio Oriente presso lo I’Istituto Affari Internazionali (IAI), “l’Ue dovrebbe astenersi dal dare definizioni e interpretazioni su quello che sta accadendo a Tunisi. Gli stessi tunisini non danno una lettura univoca della situazione. Parlare di colpo di Stato e modello egiziano a poche ore dall’annuncio del presidente Saïed è fuorviante, oltre che affrettato. Il rischio è quello di alimentare delle profezie che si auto-avverano”.

Quello che sta accadendo in Tunisia è una lotta intra-istituzionale che covava sotto la superficie da molto tempo: la polarizzazione delle tre figure principali dello Stato in questo momento è esplosa, diventando anche una questione politica. “Per una giovane democrazia, si tratta di un momento rischioso ma non così sorprendente: stiamo ancora in una fase di transizione, non si tratta di un’inversione di rotta del percorso iniziato nel 2011”, sottolinea Colombo.

“Dal punto di vista italiano ed europeo – prosegue la ricercatrice - è comprensibile che scatti subito il discorso migranti, è come un riflesso automatico. Purtroppo, ci ricordiamo di questi Paesi solo in questi termini. In realtà, è sbagliato pensare che la crisi tunisina in corso possa tradursi meccanicamente in un aumento dei flussi migratori. È importante ricordare che il trend degli arrivi dalla Tunisia è in costante aumento dal 2017-2018, pur trattandosi di numeri tutto sommato contenuti”.

La Tunisia è già un Paese di partenza fondamentale per gli sbarchi in Italia; molte sono persone in transito, ma molti sono anche cittadini tunisini. Si tratta soprattutto di partenze individuali, gruppi di persone che si organizzano per affrontare una traversata che è molto più breve di quella libica. “In realtà siamo in un momento aperto, in cui tutto è possibile: per molti tunisini, questo potrebbe essere un buon motivo per restare, nella speranza di vedere qualche cambiamento”, argomenta Colombo, secondo cui “instabilità e incertezza non sono sempre fonte di precipitazioni”.

Gli eventi degli ultimi giorni, infatti, sono stati presentati da Saïed come un’operazione per proteggere il Paese da “un pericolo imminente che minaccia le istituzioni della nazione e il funzionamento regolare dei poteri pubblici”, nello specifico corruzione e ingerenze di attori regionali. Il tema di una Tunisia fragile in balia di forze più potenti è penetrato a fondo nella società tunisina; per molti giovani, è motivo di disillusione e spinta a voler partire.

“Molti giovani, purtroppo, non vedono più la democrazia come l’unico sistema di governo in grado di garantire pace e stabilità al proprio Paese”, spiega Colombo. “Il motivo è duplice: da una parte l’inadeguatezza del governo e della classe politica; dall’altra il senso di prevaricazione da parte di attori esterni. I Paesi del Golfo, in particolare, hanno utilizzato la Tunisia come un terreno di battaglia. La contrapposizione islamisti/anti-islamisti è stata fortemente alimentata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti con lo stesso copione adottato in altri contesti, dal Libano all’Egitto. La Tunisia negli ultimi anni ha sofferto profondamente queste ingerenze molto sottili, che in parte sono state anche un lascito del periodo dello Stato islamico e della radicalizzazione latente delle giovani generazioni tunisine attraverso scuole e predicatori legati alla regione del Golfo. L’instabilità in Libia ha accentuato questa penetrazione, soprattutto dopo l’entrata in campo della Turchia. Queste ingerenze – evidenti in alcuni temi arrivati in Parlamento – hanno fatto vacillare la fiducia di molti tunisini in questa istituzione”.

Alcuni parlamentari sono accusati di aver preso dei soldi e di essersi schierati su posizioni emiratine o saudite. La diffusione di queste pratiche ha scalfito la fiducia dei cittadini, molti dei quali sostengono la promessa di Saïed di fare piazza pulita di questo trend. “È bene precisare però che non siamo di fronte a un caso paragonabile alla Libia o al Libano, dove l’ingerenza ha raggiunto livelli per cui non si può parlare di una politica autoctona”, aggiunge l’analista IAI. “In Tunisia fortunatamente una politica autoctona c’è, anche se macchiata da ingerenze che fanno parte di una tendenza regionale più ampia che prospera nel vuoto lasciato da altri attori internazionali, a cominciare dall’Europa”.

Anziché dare letture e lezioni politiche, l’Italia e l’Unione Europea dovrebbero chiedersi cosa potrebbero fare concretamente per la Tunisia. “Uno dei punti su cui Tunisi ha sempre insistito è che tutto il discorso europeo di sostengo alla Tunisia come Paese strategico e di primaria importanza non è mai stato seguito da azioni concrete”, osserva ancora Colombo. “In questo momento, ad esempio, avrebbe un forte impatto una campagna di sostegno italiana e/o europea su emergenza Covid e vaccinazione, a fronte di una situazione drammatica in termini di contagi, decessi e ospedali al collasso. Questo sì che vorrebbe dire fare qualcosa di concreto per sostenere la giovane e preziosa democrazia tunisina”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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