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Wall Street con nuovi record: Dow Jones rompe i 20mila punti

Tanto tuonò che piovve. Complice senza dubbio le mosse del nuovo presidente Trump particolarmente business friendly, l’indice Usa, che da tempo stava flirtando con la fatidica soglia, si è finalmente spinto oltre i 20mila punti per la prima volta nella storia arrivando a 20.033,77 punti.

Il record del DJ

Il record fa seguito a quelli registrati ieri dall’S&P500 che ha visto i 2.280 punti e che adesso viaggia a 2.292 mentre il Nasdaq (Francoforte: 813516 - notizie) ha chiuso ieri a 5.600 e nel momento in cui si scrivono queste righe, segna 5.635 punti. L’ultima volta che il Dow è riuscito ad arrivare a lambire, senza romperla, la soglia dei 20mila punti, è stato il 6 gennaio, immediatamente dopo il report sul lavoro di dicembre, grazie al quale si è registrato un saldo sul DJ pari a 19.999,63, a meno di 0,37 punti dalla meta. Raggiunta solo oggi. La benzina, come già accennato, è stata fornita dalle prospettive di tagli fiscali e maggiori incentivi per la crescita economica. Guardando alle ultime azioni dell’amministrazione Trump, le cronache riportano le pressanti volontà di iniziare la costruzione di quel Muro con il Messico (in realtà si tratterebbe di un rafforzamento di una divisione già esistente) che ha creato molte polemiche in campagna elettorale. Naturalmente, il fatto che il Dow abbia infranto la barriera dei 20mila punti non significa che la strada sia spianta. In realtà è sempre più chiaro il fattore ottimismo che viene dato dalle prime firme sui primi decreti: il vero banco di prova sarà la riforma fiscale e la capacità di Trump di farsi autorizzare dal Congresso quel trilione di dollari di investimenti sui quali molte società (alcune anche del Dow) stanno facendo affidamento.

I timori sugli Usa

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Intanto i timori si concentrano, parallelamente, anche sul fatto che proprio questa serie di iniziative causeranno un aumento spropositato del debito (fattore che Trump conosce bene visti anche i suoi precedenti per bancarotta) e deteriorare il deficit, per ora ancora modesto, almeno stando all’analisi di Moody’s, proprio nel momento in cui il rialzo progressivo dei tassi rischia di appesantire i costi. Ed è proprio Moody’s che guarda con preoccupazione al fattore deficit: il rapporto con il Pil, infatti, dal 1998 ad oggi ha visto un progressivo calo che è andato dal 9,85 al 3,2% del 2016; l’aumento della spesa, proclamato da Trump ed atteso anche dai mercati, porterebbe a un nuovo aumento del disavanzo, del debito e della zavorra rappresentata dai relativi costi. Con conseguenti possibili azioni sulla qualità del rating.

Ma Moody’s non è la sola a lanciare l’allarme. Stando a quanto dichiarato qualche settimana fa da Ed Parker, Senior Director dell’agenzia di rating Fitch, nei prossimi 10 anni, in seguito agli sgravi fiscali, verrebbero meno 6,2 trilioni di dollari di tasse solo per il primo mandato del tycoon. Con queste premesse la forbice del debito Usa si allargherà del 33% con tutti i rischi per un eventuale downgrade.

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