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La Yellen ferma il rally dei Treasury

Ieri sera, la Yellen ha messo ulteriore pressione ai tassi, proponendo un discorso dai toni abbastanza restrittivi, per lo meno rispetto a come ci ha abituato in passato. La Chairwoman ha osservato che l’economia è US vicina alla piena occupazione e l’inflazione al target FED, e quindi è ragionevole ridurre gradualmente lo stimolo monetario. Attendere troppo esporrebbe al rischio di “brutte sorprese”. Ha aggiunto che allo scorso FOMC lei e i suoi colleghi prevedevano di alzare i tassi alcune volte all’anno. La mania per l’esegesi dei testi ha spinto la maggioranza degli operatori a interpretare il wording usato, “a few times”, come “almeno 3 rialzi l’anno”, un ritmo non prezzato interamente dal mercato. Cosi (NasdaqCM: COSI - notizie) l’intera curva dei treasury ha visto i rendimenti salire, e il dollaro ha accentuato il rimbalzo, per la gioia del Nikkei stanotte.

Meno felici il resto degli indici dell’area, a cominciare da quelli cinesi, che hanno corretto marginalmente. A questi ultimi non avranno giovato i commenti del neo Segretario al Commercio US Ross, secondo cui la Cina è il paese che più pratica il protezionismo.

L’incombere dell’ECB ha mantenuto un clima di attesa durante la mattinata europea, con gli indici poco sotto la parità, e l’€ incapace di prezzare interamente la Yellen, per timore di un Draghi ugualmente hawkish.

Tutt’altro.

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Il Presidente ECB ha lasciato inalterate misure e guidance, e chiarito di non aver discusso ulteriori riduzioni del QE. Ha riconosciuto il miglioramento del quadro sulla crescita, ma ribadito che i rischi allo scenario sono al ribasso. Ma soprattutto ha dichiarato che la salita dell’inflazione è sopratutto dovuta a effetti base sull’energy, e che non vi sono segnali convincenti che la core inflation ha intrapreso un trend rialzista. Perchè questo avvenga, la salita deve durare nel medio periodo, ed essere autosufficiente (ovvero non dipendente dalle misure). Alle obiezioni riguardanti il livello dell’inflazione tedesca ha risposto che quello mche conta è il dato aggregato europeo.

Insomma, chi cercava indizi di un avanzata dei falchi nel Governing Council è rimasto deluso. L’ECB guarda oltre gli sviluppi di breve, e si focalizza sul dato di inflazione core.

Il risultato principale della Conference di Draghi è stato la discesa dell’€, che si è infine appropriato dell’effetto Yellen, finendo a tratti sotto 1.06 vs $. I bonds europei, in calo in simpatia coi treasuries, hanno ottenuto poco aiuto dall’ECB dalla dovishness ECB. Non c’è granchè da stupirsi vista la scarsa protezione che i loro rendimenti offrono contro un aumento dell’inflazione europea headline. Già ora l’inflazione tedesca gira un buon punto e mezzo sopra il rendimento del Bund.

L’azionario europeo ha tentato una sortita in positivo post conference, ma i progressi non hanno tenuto al passaggio in negativo di Wall Street. Fa eccezione Milano, supportata da un ottimo settore bancario, che ha beneficiato anche del circolare di indiscrezioni su acquisizioni, rimaste senza sostanza.

Con l’attenuarsi dell’ottimismo, anche l’€ si è riportato sui livelli di inizio seduta, pur senza raggiugere quelli pre conference. Difficile capire cosa abbia causato il modesto arretramento dell’azionario US e del biglietto verde, visto che il nuovo Segretario di Stato Mnuchin ha dichiarato che gli USA adotteranno politiche volte a mantenere un dollaro forte, che una crescita nella regione del 3-4% gli pare sostenibile. Il Philly FED di gennaio, poi, ha segnato il massimo da 2 anni (23.6 da prec 19.7 e vs attese per 15.3).

Sorprendente anche la mancata reazione del settore bancario US al robusto rimbalzo dei rendimenti (da 2.32% di martedi a 2.48% oggi per il 10 anni treasury).

In generale il quadro sull’azionario continua a segnalare estrema indecisione. Vediamo se l’entrata in ufficio di Trump domani riesce a risolvere la situazione.

Autore: Giuseppe Sersale Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online