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Covid-19. Vaccino e sperimentazione animale in Italia

La corsa mondiale al vaccino per contrastare la pandemia di Coronavirus intensifica notevolmente la quantità di test condotti su specie tra cui topi, ratti, criceti, gatti, cavie, furetti e scimmie. Nel nostro paese però, viene coinvolto nelle sperimentazioni meno di un terzo degli animali utilizzati in Inghilterra, in Francia o in Germania (I numeri) La LAV (Lega anti vivisezione) fa sapere che a livello mondiale, la vivisezione conta oltre 192 milioni di animali all’anno, ma il numero è destinato inevitabilmente a crescere durante la competizione di ricercatori e Paesi verso il traguardo del vaccino contro il Covid-19. (Qual è la situazione italiana?) Nel nostro paese l’impiego di animali per fini scientifici è regolamentato dal Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 26 (che ha attuato la Direttiva Europea n. 63/2010) che vieta l’allevamento di primati, cani, gatti e topi e consente l’uso di animali soltanto a due condizioni: se viene dimostrata l’impossibilità di raggiungere il risultato ricercato utilizzando un altro metodo di sperimentazione scientifica che non implichi l’impiego di animali vivi; che le procedure sperimentali scelte saranno quelle che causano meno sofferenza possibile all’animale. Secondo la comunità di ricerca biomedica, queste restrizioni rallentano le sperimentazioni italiane per il vaccino contro il Coronavirus.