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I misteriosi suicidi dei top manager svizzeri

I misteriosi suicidi dei top manager svizzeri

La Svizzera si tinge di giallo. Con la misteriosa morte, avvenuta lo scorso 27 agosto, di Pierre Wauthier, direttore finanziario di Zurich Insurance Group, salgono a quattro i decessi avvenuti negli ultimi mesi le cui vittime appartengono tutte al mondo della finanza e del private banking.

Le cause della morte di Wauthier, che dal 1996 lavorava per il grupppo assicurativo svizzero, sono ancora da accertare: il suo corpo, ritrovato senza vita nella sua casa a Zugo, a pochi chilometri da Zurigo, è ancora nelle mani della scientifica che esclude però "l'intervento di terzi". "Colpa delle pressioni dell'ex numero uno di Detusche Bank", è stato lo spietato j'accuse della moglie Fabienne, che ha accusato Josef Ackermann di "pressioni illecite" sul marito per fargli rivedere i suoi metodi contabili. L'uomo, non appena ricevuta la triste notizia, si è dimesso dal suo incarico, sentendosi "profondamente colpito" dalla morte di Wauthier e consapevole di "credere che la sua famiglia pensi che io debba prendermi la mia parte di responsabilità".

Wauthier è solo l'ultimo di un'infelice lista di suicidi che da qualche tempo macchia la Svizzera. Nemmeno un mese fa, a Lugano, si è tolto la vita a soli 49 anni Carsten Schloter, direttore generale di Swisscom, gigante della telefonia elvetica. Le cause del suicidio del top manager di origine tedesca sono state individuate dapprima nella forte depressione di cui soffriva l'uomo dopo il divorzio dalla moglie, ma non solo. Il filo rosso che accomuna la morte di Wauthier e di Schloter ha un nome preciso e si chiama "Sindrome da burnout", l'esito patologico che arriva dopo mesi dai ritmi lavorativi estenuanti e con un sovraccarico di stress non indifferente. Una patologia che, se non curata, può portare alla decisione di compiere l'insano gesto. Schloter aveva lanciato più volte l'allarme, l'ultimo durante un'intervista, quando dichiarò di trovare "sempre più difficile scalare di una marcia la mia esistenza", ammettendo inoltre di temere di "finire senza accorgertene in un loop di attività compulsiva".

Uomini di successo e potere, con stipendi a sei cifre, dai quali mai ti aspetteresti un atto simile. Eppure il suicidio nel mondo della finanza non è un caso isolato: nel 2008 Alex Wilder, numero uno del colosso del private banking Julius Baer, morì "inaspettatamente" e ancora oggi non sono chiari i motivi della sua scelta; qualche anno dopo, l'AD della Ricola Adrian Kohler si tolse la vita gettandosi sotto un treno perchè accusato di furto nella sua azienda, "spiccioli", come poi dichiararono i colleghi.

Morire di finanza, soffocati dai ritmi di lavoro sempre più pressanti in un Paese che non può e non vuole sprofondare nella crisi, è un triste fenomeno che colpisce manager e dirigenti, ma anche la manovalanza, come il suicidio dello stagista  21enne Moritz Erhardt, trovato morto dopo 72 ore di lavoro consecutive in Bank of America.
C'è però chi riesce a fermarsi in tempo: è il caso di Joe Hogan, direttore generale di Abb che a maggio ha annunciato le sue dimissioni perchè "stressato", dichiarando di voler dedicare "più tempo alla mia famiglia e alla mia vita privata", e rinunciando così ad uno stipendio milionario. La stessa rinuncia l'ha fatta Peter Voser, manager di successo in Shell, mentre il numero uno della Lloyd's Antonio Horta-Osorio ha chiesto due mesi di aspettativa "per insonnia e sovraffaticamento da lavoro". Perchè è vero che il lavoro nobilità l'uomo, ma troppo lo uccide.