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Start-up innovative: che cosa sono e cosa dice la legge

Toccherà alle start-up svolgere quel ruolo di locomotiva dell’economia nazionale che nel secondo dopoguerra fu equamente diviso fra i colossi dell’industria di matrice fordiana e le piccole medie-imprese disseminate sul territorio? Il Governo Monti ha affrontato la questione nell’articolo 25 del Decreto Sviluppo bis definendone la natura e le finalità.

Il sostegno alle start-up nasce dalla necessità di un rinnovamento della cultura imprenditoriale e di un sistema economico maggiormente aperto all’innovazione e alla mobilità sociale.

Ma cosa sono le start-up? E quale tipo di attività e modalità operative rientrano nell’alveo giuridico della misura per lo sviluppo del Governo Monti? Per start-up innovativa s’intende una società di capitali (costituita anche in forma cooperativa) le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un sistema multilaterale di negoziazione o su un mercato regolamentato.

Fatte queste premesse, per definirsi start-up la società deve rispondere ai seguenti requisiti:

1) la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto dell’assemblea dei soci è detenuta da persone fisiche;
2) deve essersi costituita come attività d’impresa da non più di 48 mesi;
3) deve avere la propria sede principale e interessi in Italia;
4) dal secondo anno di attività il totale del valore della produzione annua non deve essere superiore a 5 milioni di euro;
5) non può distribuire utili, né può averne distribuiti in passato;
6) deve avere come oggetto sociale esclusivo lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
7) non deve essere stata costituita da fusione, scissione societaria o da cessione di un’azienda o di un ramo di un’azienda;
8) deve possedere almeno uno di questi tre requisiti: a) le spese in ricerca e sviluppo (nelle quali non possono essere incluse, per esempio, quelle relative ai beni immobili) sono uguali o superiori al 30% del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start up innovativa; b) l’impiego come dipendenti o collaboratori, in percentuale uguale o superiore a un terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o con un iter di ricerca in corso di svolgimento in una università italiana o straniera o, ancora, personale in possesso di laurea che abbia svolto, da almeno tre anni attività di ricerca certificata da istituti di ricerca italiani o privati ; c) sia titolare o licenziatario di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività d’impresa.

Se i primi sette punti si concentrano su quelli che sono gli aspetti meramente societari ed economici delle start-up, il comma 8 proponendo, uno dei tre vincoli come condicio sine qua non per la definizione di start-up, entra nel merito della natura delle società, dei presupposti che ne determinano le direzioni operative. 

La suddetta disciplina è valida per un periodo di quattro anni dall’entrata in vigore del seguente decreto e ha tempistiche differenti se la costituzione della società è avvenuta precedentemente.

Nell’articolo 25 al punto 4 si fa riferimento alle start-up a vocazione sociale, mentre successivamente viene specificata anche la natura degli incubatori, vale a dire delle società di capitali che hanno il compito di sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative.