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La Svizzera vota contro l'immigrazione

Fisco, fonte dice che sono saltate le trattative tra Italia e Svizzera. REUTERS/Michael Buholzer

Basta immigrati. Il 9 febbraio i cittadini svizzeri voteranno il referendum “Contro l’immigrazione di massa” dopo che il Parlamento elvetico ha espresso il proprio voto contrario. La consultazione è stata fortemente voluta dai partiti di destra, Unione democratica di Centro in testa, con il fine di imporre dei tetti massimi agli stranieri. In ballo ci sono gli accordi bilaterali che Berna ha firmato con l’Unione europea per la libera circolazione delle merci e dei cittadini all’interno dell’area euro. A rischiare sono gli oltre 60mila frontalieri italiani che ogni giorno varcano il confine della Confederazione elvetica per lavorare.

La questione è particolarmente sentita in Ticino dove i frontalieri sono quasi un terzo su una popolazione attiva di 170mila individui. Non è un caso, infatti, che la campagna referendaria da queste parti sia spinta da Udc e Lega. Niente a che vedere con i partiti italiani, non ci si deve far confondere dal nome. Udc sta per Unione democratica di Centro e la Lega è quella dei Ticinesi: rispettivamente il primo partito in Svizzera e il movimento politico più votato in Ticino. “La Svizzera non può scegliere ciò che le piace”, è l’ammonimento di Viviane Reding, commissario europeo per la Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza. “L’accesso al mercato interno – prosegue il commissario – non può essere dissociato dalle libertà fondamentali riconosciute dagli accordi bilaterali”. Non si può, in buona sostanza, lasciare che la merce circoli liberamente, ma intanto mettere un freno all’ingresso delle persone. Diverso, c’era da aspettarselo, il punto di vista di Marco Borradori, sindaco di Lugano eletto con la Lega dei Ticinesi: “Al referendum voterò sì perché penso sia comprensibile la necessità di porre un freno, una limitazione agli ingressi in Ticino dove la situazione economica non è più quella di un tempo”. Figuriamoci in Italia, verrebbe da dire.

In Svizzera risiedono 500mila cittadini stranieri, a cui si aggiungono i 60mila frontalieri italiani. L’85 per cento della popolazione straniera proviene dalla zona Ue, per lo più cittadini italiani (seguiti da tedeschi e portoghesi). E proprio l’Italia è il Paese più minacciato da un’eventuale vittoria del fronte del sì. Negli ultimi anni una quota importante dei migranti in terra elvetica è alla ricerca di un impiego qualificato: ingegneri, architetti, insegnati e consulenti finanziari. Mettere un freno all’ingresso di frontalieri significherebbe, per certi aspetti, tornare indietro nel tempo. Nel 1970 venne messa ai voti la proposta del deputato James Schwarzenbach che prevedeva il rimpatrio di 400mila stranieri, soprattutto italiani. Prevalsero i no, ma con un margine risicato: 54 per cento contro 46. Da allora la Svizzera ha progressivamente aperto i suoi confini: nel 2008 sono entrati in vigore gli accordi di Schengen.

La crisi economica mondiale ha cambiato la percezione della realtà anche nella ricca Svizzera. Qui non esiste il problema del debito pubblico, pari appena al 35 per cento del Pil, e la disoccupazione è inferiore al 5 per cento. La situazione, se rapportata a quella italiana, è idilliaca. E proprio per questo da Lugano a Zurigo si fa strada la battaglia per la salvaguardia dei confini, minacciati dagli immigrati che “mettono in pericolo la nostra libertà, la sicurezza, il pieno impiego, il nostro paesaggio e, infine, il nostro benessere”, si legge nel documento di promozione del referendum. L’esito, a livello nazionale, rimane incerto. Se pare scontata una vittoria del sì in Ticino e a Ginevra – i due cantoni dove il fenomeno dei frontalieri è più diffuso -, resta da definire lo scenario in zone più centrali della Confederazione dove gli stranieri sono molto pochi. Affinché il referendum sia valido occorre la maggioranza in almeno la metà dei 26 cantoni più uno.