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Bad bank: cos'è e perché serve

Bad bank: cos'è e perché serve

Mentre la Banca centrale europea si appresta (da marzo) ad avviare il quantitative easing, la situazione dell'economia italiana stenta a riprendersi. Così si fa strada l'ipotesi di creare una bad bank, con l'intento di farvi confluire una parte importante dei crediti problematici accumulati in questi anni dagli istituti di credito italiani, con la speranza che a quel punto riprendano le erogazioni di prestiti alle famiglie e alle imprese.

La ripresa resta ancora incerta
Le ultime settimane sono state all'insegna di un moderato ottimismo sulle prospettive dell'economia italiana. Bankitalia e Centro Studi Confindustria stimano che - grazie al combinato disposto tra calo dei prezzi energetici, svalutazione dell'euro rispetto al dollaro e quantitative easing in arrivo - la crescita sarà
sensibilmente superiore allo 0,5-0,6% stimato finora. L'esperienza recente, tuttavia, insegna che quasi sempre le previsioni sono state riviste al ribasso, per cui non c'è da essere molto ottimisti. Anche perché il nodo principale - vale a dire la difficoltà di accesso al credito - non è ancora stata risolta. Anche a gennaio, i prestiti alle famiglie e alle imprese sono scesi (dell'1,8% su base annua), aggravando così ulteriormente le difficoltà di resistenza alla crisi.

Verso un nuovo veicolo finanziario
Da qui l'idea di accelerare verso la costituzione di una bad bank, un progetto di cui si discute da almeno due anni e che altri Paesi europei hanno già adottato con successo. Nel nuovo veicolo finanziario dovrebbe confluire una parte importante dei crediti di difficile esigibilità accumulati dagli istituti in questi anni di crisi.

Le sofferenze complessive ammontano a 183 miliardi di euro e l'intento è di trasferirne almeno 30 miliardi nella bad bank. Considerato che Unicredit e Intesa SanPaolo, vale a dire le due principali banche italiane, si stanno già muovendo in proprio su questo versante, l'iniziativa si rivolgerebbe soprattutto agli istituti di medie dimensioni. I nodi da sciogliere restano due: il primo riguarda la necessità di arrivare a una valutazione omogenea di quei crediti, considerato che finora ciascun istituto ha seguito parametri propri. Il secondo il ruolo che sarà chiamato a svolgere lo Stato, cioè la sua quota di partecipazione e fino a che punto si spingerà la garanzia sugli asset da inserire nel fondo. Un intervento fondamentale per trovare fondi internazionali pronti a investirvi. Ma, a fronte di una ripresa che stenta ad arrivare, è probabile che si arrivi a una soluzione rapida delle questioni ancora aperte.