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Inps, "reddito minimo garantito di 500 € dai 55 anni in su"

Per chi si avvia ad uscire dal mondo del lavoro potrebbe essere in cantiere un interessante provvedimento, che prevenga, nel caso in cui si perdesse il posto, il rischio di rimanere per anni in un limbo, come gli attuali esodati.

Abbattere la povertà, riducendola almeno del 50%, fra chi ha più di 55 anni di età e garantire una transizione più flessibile dal lavoro al non lavoro e viceversa”. Questi sono i due principi che guidano le proposte del rapporto di 69 pagine pubblicato dall’INPS sulle pensioni. L’Istituto di previdenza sociale sta mettendo a punto un pacchetto di proposte per l’equità sociale, che mirino a garantire la condizione degli ultracinquantacinquenni, ma anche a dare ai giovani la speranza di una pensione per il futuro.

I primi 8 dei 16 articoli che compongono il disegno di legge prevede un meccanismo di protezione sociale per chi ha oltre 55 anni. Una fascia di età particolarmente colpita dalla recessione, con tassi di disoccupazione ancora in crescita. Si tratterebbe, insomma, di un “reddito minimo garantito” di 500 € al mese per ogni famiglia con almeno un componente oltre i 55 anni.

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Per famiglia si intende qui il nucleo allargato, così come viene definito per il calcolo dell’ISEE; ciò significa che non soltanto i genitori, ma anche eventuali figli disoccupati potrebbero beneficiare del reddito minimo. Precedenza, inoltre, verrà data a chi vive in affitto.

Il reddito sarebbe inoltre subordinato al reinserimento lavorativo, e andrebbe eventualmente a colmare una soglia minima laddove nel nucleo familiare uno dei soggetti adulti non avesse un reddito sufficiente.

Ma chi coprirà una simile manovra? Le risorse richieste si attestano a circa 1,2 miliardi, che proverrebbero rimodulando le pensioni percepite al di sopra dei 65 anni di età e che vengono erogate al 30% della popolazione coi redditi più elevati. Chi percepisce una pensione sopra i 5mila euro sarà insomma chiamato a versare un “equo” contributo, ottenuto attraverso il ricalcolo della pensione secondo il sistema contributivo. Altri fondi proverrebbero, poi, dal taglio di vitalizi e pensioni sindacali.

Con questi risparmi si potrebbe consentire l’uscita flessibile dal sistema previdenziale, con delle penalità. La proposta dell’INPS delinea uscite anticipate a 63 anni e 7 mesi, con una riduzione della pensione che si applica alla sola quota retributiva, non supererebbe il 10% e tenderebbe ad assottigliarsi nel corso del tempo.

Insomma, una riforma davvero d’impatto, che tuttavia deve ora trovare il placet della politica. Critico è Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato, ed ex Ministro del Welfare, che ricorda che “I gruppi di maggioranza del Senato hanno già detto di no alla premessa della proposta del presidente dell’Inps con un ordine del giorno di indirizzo accolto dal governo”. E altrettanto duro è stato Giorgio Ambrogioni, presidente CIDA (dirigenti e quadri), secondo cui “Boeri, con questo documento, criminalizza il 10% dei pensionati in quanto titolari di pensioni medio-alte dimenticando la loro enorme partecipazione al gettito Irpef”. Critico, specialmente sui metodi, anche l’ex responsabile economico del PD Stefano Fassina, che dice: “Credo che il presidente dell’Inps debba ricordare quale sia il suo ruolo. Oppure si faccia nominare ministro del Lavoro e coerentemente faccia le proposte che ritiene”. Obiezioni condivise da Enrico Zanetti,  ilsegretario di Scelta civica, che dichiara di avere «forti perplessità sul metodo» utilizzato da Boeri per la sua proposta.

Palazzo Chigi, dalla sua, difende il Presidente INPS, rendendo noto che la proposta non è un’iniziativa diretta di Boeri ma è stata concordata.

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