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Contributivo pieno per tutti o saltano i conti. Draghi sulle pensioni parte da qui

Un momento dell'incontro a Palazzo Chigi tra il premier Mario Draghi ed i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, sulle pensioni, Roma, 20 dicembre 2021. Per il governo partecipano i ministri dell'Economia, Daniele Franco, del Lavoro, Andrea Orlando e della Pa, Renato Brunetta ed il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli. 
ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI
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A togliere di mezzo l’imbarazzo nel ritrovarsi tutti insieme dopo lo sciopero generale è Mario Draghi. Nella Sala Verde di palazzo Chigi, Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri sono seduti uno accanto all’altro. Sulla terza sedia di fronte al premier c’è Luigi Sbarra, il segretario generale di quella Cisl che si è dissociata dalla protesta di Cgil e Uil. “Stasera - esordisce Draghi - dobbiamo fissare il cronoprogramma sulle pensioni. Il tavolo si farà qui”. È la prima risposta, preventiva, alla questione che Landini solleverà poco dopo e cioè che la discussione sulla riforma Fornero deve guardare al contenuto, ma anche al metodo, insomma niente soluzioni a scatola chiusa. Un tavolo a palazzo Chigi, non al ministero del Lavoro o al Tesoro, dice della volontà di Draghi di tenere alto l’impegno fin da subito. A una condizione: non si giocherà a freccette. La matrice della trattativa è la sostenibilità delle pensioni, l’Europa, insomma una flessibilità tale da non far pagare il conto a tutti attraverso una lievitazione della spesa pubblica.

Il ragionamento che ripete due volte è calibrato sulla possibilità di lavorare a qualsiasi modifica, insomma il requisito dei 67 anni di età per accedere alle pensione di vecchiaia non è un totem, ma le uscite anticipate sono possibili solo se non si fa saltare tutto per aria. La condizione primaria è il ritorno al sistema contributivo pieno per tutti, la regola applicativa è che si va in pensione con quanto si è versato. L’apprezzamento sul metodo da parte dei tre leader sindacali marca una riallacciamento dopo i giorni burrascosi della gestazione della legge di bilancio, anche se non mancano i momenti di frizione, come la richiesta di cambiare le norme anti delocalizzazioni (che però non cambieranno). Non c’è solo la sede del confronto. C’è un calendario per gli incontri che inizieranno subito, dopo Natale, c’è la tripartizione della discussione sulla flessibilità in uscita, la previdenza per giovani e donne e quella complementare. C’è persino l’indicazione degli uomini che si occuperanno di portare avanti il tavolo: i ministri Franco, Brunetta e Orlando guideranno il coordinamento politico, mentre il sottosegretario Roberto Garofoli e il capo del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica Marco Leonardi seguiranno la parte tecnica.

Insomma il metodo c’è, quantomeno nelle intenzioni. Ma quello che misurerà l’ampiezza dell’apertura di Draghi sulla flessibilità delle pensioni saranno le penalizzazioni per chi andrà in pensione prima a partire dal prossimo anno, quando si chiuderà la finestra di quota 102, a sua volta coda di quella quota 100 che per tre anni ha aperto una via di uscita rispetto al binario della legge Fornero. E, letto nel senso opposto, quello che i sindacati riusciranno a portare a casa è il livello delle stesse penalizzazioni. Neanche Cgil, Cisl e Uil contestano il fatto che una penalità ci dovrà essere perché è un concetto implicito alla possibilità di uscire prima dal mondo del lavoro, ma sulla quantificazione le divergenze sono ampie. Ai sindacati, ad esempio, non va bene la proposta avanzata dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico e cioè una pensione in due tempi: la prima tranche a 62 anni, limitatamente alla quota maturata con il contributivo, e il saldo a 67 anni sulla base del calcolo retributivo, con l’aggiunta di alcune agevolazioni.

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Ma è soprattutto l’opzione della pensione ricalcolata tutta con il contributivo, sostenuta del premier, a essere avversata. La Cgil ha fatto i conti: un ricalcolo contributivo puro produrrebbe un taglio che potrebbe arrivare fino al 30% dell’assegno lordo. Per chi ha una retribuzione di 20mila euro lordi e tre anni di contributi (con 15 anni di contributi al 31 dicembre 1995), la pensione lorda scenderebbe da 870 euro mensili con il sistema misto a 674 euro. Il taglio sarebbe di oltre il 22 per cento. All’incontro non si scende nei particolari, ma da fonti sindacali si apprende che la decurtazione massima possibile per Cgil, Cisl e Uil deve fermarsi intorno al 10%, non oltre. Ma, in una sorta di cortocircuito, penalizzazioni troppo basse si tradurrebbero in un aumento della spesa. Gli ultimi dati arrivati dalla Ragioneria generale dello Stato parlano di un tasso della spesa per le pensioni, al netto dell’indicizzazione ai prezzi, che quest’anno e nel 2020 è risultata a livelli superiori rispetto al 2011, prima del varo della riforma Fornero. Ha pesato anche quota 100. E Draghi non è intenzionato a fare di questo aumento un trend consolidato. La curva va tenuta bassa.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.