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Coronavirus, intesa governo-sindacati: cosa cambia

Foto Marco Alpozzi/LaPresse
Foto Marco Alpozzi/LaPresse

Arrivano ulteriori restrizioni sulle aperture di fabbriche e imprese. Dopo un lungo confronto, tra diverse videoconferenze e contatti telefonici, governo e sindacati hanno raggiunto un'intesa per rivedere l'elenco delle attività produttive essenziali, modificando l'allegato dell'ultimo decreto firmato domenica scorsa.

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I benzinai

Sul fronte dei benzinai, dopo le parole del premier Giuseppe Conte ed una riunione col Mise, rientra per ora la protesta della categoria, che aveva avvertito del rischio di chiudere gli impianti, per una questione di sicurezza e di sostenibilità economica.

Lista più ristretta

La lista delle attività che possono restare aperte fino al 3 aprile viene dunque rivista. Cgil, Cisl e Uil insistevano da giorni per limitare le attività industriali e commerciali alle sole ritenute davvero essenziali e indispensabili in questa fase, ripetendo che l'obiettivo comune è contenere il rischio di contagio da Coronavirus e tutelare innanzitutto la salute e la sicurezza dei lavoratori.

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Le novità

Il numero delle voci resta quasi lo stesso (80 contro 82) ma escono capitoli più estesi ed entrano voci più circoscritte. Tra le novità, fuori la fabbricazione di macchine per l'agricoltura e l'industria alimentare ma anche degli articoli in gomma, come pneumatici; dentro quelle per imballaggi e batterie, ma entrano anche le agenzie interinali e i servizi di sostegno alle imprese per le consegne a domicilio. Limiti, invece, ai call center (stop per quelli in uscita e ricreativi).

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L'intervento di Confindustria

Dopo l'intesa interviene anche Confindustria: ora "bisogna mettere da parte polemiche, strumentalizzazioni ed eccessi nel linguaggio, ingenerosi verso chi sta responsabilmente affrontando assieme a tutto il Paese la peggiore crisi sanitaria ed economica dal dopoguerra e lavorare tutti nella medesima direzione e con senso di responsabilità", dicono gli industriali. Con il blocco delle attività previsto dall'ultimo decreto del 22 marzo, il numero dei lavoratori italiani "fermi" è già di oltre 7,8 milioni, calcolano i Consulenti del lavoro.

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