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Crescita e fiducia, la doppia strategia che Draghi si gioca sui mercati

Mario Draghi/Daniele Franco (Photo: FABIO FRUSTACIANSA)
Mario Draghi/Daniele Franco (Photo: FABIO FRUSTACIANSA)

Forse il messaggio più elementare dal punto di vista economico da quando è a palazzo Chigi, ma non per questo scontato. Allo stesso tempo, però, tra i più significativi se la prospettiva è quella che guarda all’Europa e ai mercati. Eccolo il messaggio di Mario Draghi al termine del Consiglio dei ministri che ha dato il via libera alla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza: “Quando l’economia europea si sarà ristabilita in modo definitivo, l’Italia dovrà mantenere la sua credibilità. E la credibilità si mantiene in due modi: rispettando gli impegni e continuando a crescere”. È un messaggio ai partiti spendaccioni che per anni hanno disatteso impegni e scadenze, gonfiando a dismisura il debito pubblico, ma è soprattutto un messaggio che ribalta, o quantomeno attenua, l’immagine dell’Italia che deve fare i compiti a casa. A patto però che il metodo sia rigoroso. Nelle scelte più che negli obiettivi perché - e questo è un vantaggio che il premier si gioca e difende - le regole europee sui conti pubblici non sono destinate a tornare come prima, quindi punitive per il Paese.

Il rigore del metodo, che attraversa passaggi cruciali come il rispetto delle scadenze del Recovery, riforme incluse, non si oppone a quello sui conti. Una, se non la più grande novità della Nadef, cioè il debito pubblico che prende la discesa (l’anno scorso è schizzato al 155,6% del Pil ed era atteso quest’anno alla soglia critica del 159,8%) è un segnale chiarissimo a Bruxelles e agli investitori sul fatto che nessuno, né a palazzo Chigi né al Tesoro, pensa di eludere quello che è il vulnus dei conti pubblici italiani da decenni. Anche in tempi come questi dove il congelamento del Patto di stabilità avrebbe contemplato anche un impegno meno importante. Ma la crescita più forte del previsto, le maggiori entrate fiscali e i risparmi per gli aiuti anti Covid hanno garantito un incasso doppio, cioè un Pil importante, seppure sotto la forma del rimbalzo tecnico, e un debito che inizia a invertire la rotta. Soprattutto l’ha permesso senza bagni di sangue, senza tagli o aumenti di tasse. Non a caso ha giurato di costruire una riforma del catasto a saldo zero, senza aumentare l’imposizione per nessun proprietario di casa. Insomma un jolly speso bene.

Ma abbassare il debito/Pil al 153,5% non permette altro. E qui subentra il rigore del metodo. E il messaggio ai partiti. La legge di bilancio, attesa a metà ottobre, non poggerà su una richiesta di scostamento dopo tanti anni. Tradotto: lo spazio garantito dalla crescita più sostenuta delle attese garantirà circa 22 miliardi alla manovra, ma ogni scelta sarà centellinata, pesata, inquadrata nell’ottica di essere utile a quello che Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco rivendicano come l’obiettivo principale e cioè una crescita duratura, strutturale, non la fiammata dopo il grande crollo causato del Covid e neppure il Pil anemico che si è registrato per anni prima dell’arrivo della pandemia. Questo è quantomeno l’auspicio perché poi ci sono gli appetiti dei partiti. Non è un caso se il premier ha tagliato corto sulle pensioni durante la conferenza stampa. La spesa pensionistica, infatti, è un peso massimo quando si guarda al debito, ovviamente in termini negativi. Per questo Draghi e Franco pensano a interventi minimi per il superamento di quota 100, ma i partiti vorrebbero interventi più strutturali e quindi più costosi.

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I soldi, invece, ci sono e saranno spesi per quello che serve a sostenere la crescita e, in un circuito virtuoso, a continuare a ridurre il debito. Ci sono anche i miliardi del Recovery, con un loro effetto “autonomo” sul Pil, ma sono i soldi autoctoni, quelli che hanno avuto a disposizione tutti i governi negli ultimi anni, che non saranno gettati al vento. Insomma nessuno potrà accusare Draghi di avere le braccia corte. Lo dice la stessa introduzione della Nadef: il Governo continuerà con una politica espansiva non solo finché l’Italia non avrà recuperato la caduta del Pil. E non solo, come ha detto Franco, “finché non avremmo recuperato la mancata crescita rispetto al 2019″. Sarà il marchio della politica economica fino al 2023. Poi, dal 2024, diventerà più prudente e si focalizzerà con ancora più incisività sulla riduzione del debito.

Draghi sa, e lo dice, che arriverà un momento in cui la liquidità generale diminuirà, c’è lo spettro dell’aumento dell’inflazione, i tassi di interesse, vicini allo zero o addirittura negativi, aumenteranno. Sarà il momento in cui l’Italia dovrà mantenere la sua credibilità. Oggi è forte, gli investimenti sono tornati a correre, agli investitori può dire che ha rispettato tutte le scadenze. Ma non è una garanzia a vita. Il rigore del metodo è anche qui. Guarda all’Italia prima che a quello che all’Italia spetterà fare in base all’assetto delle nuove regole fiscali in Europa. “Tornare alle stesse regole del passato mi pare irrealistico o perlomeno pensare di farlo con le attuali strutture finanziarie all’interno della Comunità europea”, dice il premier. In poche parole un disegno che va oltre il balletto, rinvigorito fuori e dentro il Governo, sul suo destino.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.