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La crisi de L'Unità e il dibattito sui contributi pubblici all'editoria

La crisi de L'Unità e il dibattito sui contributi pubblici all'editoria

Un mese di vita. E' quanto rimane a L'Unità, quotidiano politico fondato da Antonio Gramsci, se non trova una soluzione tempestiva che porti il giornale fuori dalla crisi. Se entro la fine di luglio, infatti, non si troverà qualcuno disposto a comprare la società, il giornale chiuderà definitivamente i battenti, come già è successo in passato.

Proviamo a ricostruire la tortuosa vicenda che vede protagonista uno dei quotidiani storici di questo Paese, fondato nel 1924 come "quotidiano degli operai e dei contadini".
Lo scorso 12 giugno, dopo un acceso incontro tra gli azionisti, gli organi di rappresentanza sindacale, i giornalisti e i dipendenti del giornale, si è arrivati alla decisione di mettere in liquidazione la NIE (Nuova Iniziativa Editoriale), società editrice del quotidiano. Decisione che precede la chiusura della società e che arriva dopo anni di crisi per il giornale, seriamente indebitato e in perdita di denaro (il debito si aggira intorno ai 22 milioni di euro, dato del 2011) e di lettori.  
Così l’azionista principale di NIE, l’imprenditore Mattia Fago, ha deciso di liquidare la società per "separare le sorti della vecchia Società Editrice (NIE spa) da quelle del futuro del quotidiano", e mantenere vivo il giornale. Sebbene Fago abbia precisato che l'azione intrapresa non coinvolge direttamente la chiusura del giornale, non la pensano così i giornalisti che hanno parlato per bocca del comitato di redazione, pubblicando il seguente comunicato:

"L’Unità ha un mese di vita: se entro la fine di luglio non si manifesterà un’offerta di acquisto solida, credibile, che salvaguardi la testata e i suoi lavoratori, il fallimento non sarà più un rischio ma una certezza. Questo è il quadro drammatico che è emerso dall’incontro di ieri con i liquidatori, a cui diamo atto di grande professionalità e sensibilità alle ragioni dei lavoratori.
Noi abbiamo un mese di vita, voi non avete più alibi. Non li ha il socio di riferimento Matteo Fago, che è venuto meno agli impegni presi con i dipendenti, mettendo anche a rischio la continuità aziendale. Ma non hanno più alibi neanche gli altri soci della Nie, Renato Soru, Maurizio Mian e Maria Claudia Ioannucci, che negli anni hanno contribuito alla dismissione del giornale, con scelte scellerate. Non hanno più alibi tutti quelli che a parole si sono detti pronti a salvare la testata fondata Antonio Gramsci. Se è davvero così, non c’è più tempo da perdere: bisogna agire ora.
I lavoratori rivendicano con orgoglio di aver combattuto in difesa non solo dei posti di lavoro, ma per la vita di quello che resta un grande giornale della sinistra. Abbiamo garantito la presenza in edicola del giornale anche senza ricevere da mesi gli stipendi. La redazione ha rinunciato per quasi due mesi a firmare gli articoli.
Oggi entriamo in una nuova fase, sapendo che il tempo ci è nemico.
Domani il giornale non sarà in edicola, perché a fronte di impegni che restano inevasi lo sciopero era inevitabile. Martedì prossimo organizzeremo a Roma un incontro pubblico a sostegno della nostra battaglia di libertà.
Agli organizzatori delle Feste dell’Unità chiediamo uno spazio per denunciare la situazione del giornale e continuare la nostra lotta. Mentre si organizzano Feste dell’Unità si sta prefigurando «la festa dell’Unità». Noi faremo di tutto perché ciò non avvenga. E voi?".

L'Unità a rischio chiusura, come avvenne nel 2000: anche in quel caso ci fu la liquidazione del quotidiano e il successivo blocco delle pubblicazioni, che durò circa un anno.
Ma quella de L'Unità è un po' la situazione in cui verte l'intero settore editoriale in Italia. Un settore che si regge - seppur a stento - in piedi attraverso il finanziamento pubblico riservato all'editoria, in particolare di parito: nel 2012 L'Unità ha ricevuto dal Governo più di 3,5 milioni di euro. Misure di sostegno che il CDR del giornale rivendica spiegando che servono "per garantire l'esistenza di voci libere e la tutela di interessi come la libertà di stampa e di informazione e il pluralismo che la costituzione italiana, la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e la carta dei diritti fondamentali dell'unione europea hanno riconosciuto fra i valori fondanti della convivenza democratica".

La questione dei finanziamenti pubblici all'editoria è abbastanza complicata ed è argomento onnipresente nel dibattito pubblico e politico. Lo dimostra la proposta del Movimento 5 Stelle, che ha presentato un disegno di legge per l'abolizione totale, sostendendo che il finanziamento è una forma di condizionamento dell'organo di stampa a quello di governo, oltre ad essere una spesa per lo Stato. Altri invece ne vedono l'indispensabilità per garantire il pluralismo dell'informazione e dare una voce a chi non riuscirebbe a sostenersi autonomamente.


Le cifre elargite dallo Stato sono le seguenti: per il 2014 il contributo diretto previsto è sui 67 milioni di euro, di meno rispetto agli 80 milioni stanziati nel 2011 e i 120 milioni del 2010. Da quest'anno, però, con il Decreto Salva Italia, i contributi pubblici sono stati bloccati, il che non vuol dire che non ci saranno eventuali altre forme di  finanziamento.
I contributi, infatti, si distinguono in diretti e indiretti: i primi sono distribuiti solo a tre tipologie di giornali: gli organi di partiti politici, quelli delle cooperative di giornalisti e quelli delle minoranze linguistiche, più quelli pubblicati da "Enti morali".
Ai contributi indiretti, invece, possono avere accesso tutte le testate, purché cartacee: per loro è previsto un regime fiscale agevolato del 4 per cento sul 20 per cento delle copie stampate. Tale regime viene chiamato "monofase", perché corrisposto una sola volta dall'editore. Fino al 2010 i contributi indiretti comprendevano anche delle agevolazioni postali per la spedizione degli abbonamenti, agevolazioni telefoniche e rimborsi per la carta, cessati nel mese di marzo per decreto.

Se nella seconda categoria è difficile fare i conti, in quella dei contributi diretti da parte dello Stato la situazione è più facilmente calcolabile. Intanto, si dovrebbe parlare di rimborso e non di contributo, perchè avviene l’anno successivo sul precedente, calcolato in base ad alcuni parametri, come vendite, distribuzione, tiratura, costi. Parametri che nel corso degli anni sono stati più volte modificati per garantire l'accesso a testate che non rientravano nelle specifiche categorie e per ottenere il contributo. Per riordinare la caotica situazione, nel 2012 è stata emanata la legge n 103 che tende a "razionalizzare l’utilizzo delle risorse, attraverso meccanismi che correlino il contributo per le imprese editoriali agli effettivi livelli di vendita e di occupazione professionale", irrigidendo così i criteri di finanziamento ed evitare che i soldi arrivassero a chi non ne aveva diritto.

Alla normativa si è affiancato un rafforzamento dei controlli che ha portato recentemente alla scoperta 68 milioni di euro elargiti a 13 testate in maniera illecita: attraverso la creazione di società strumentali, alcuni editori hanno moltiplicato la loro richiesta di fondi attraverso escamotage che non facessero risultare gli effettivi proprietari. Ricevendo denaro pubblico senza averne titolo: le indagini del Nucleo speciale per la radiodiffusione e l'editoria della Guardia di Finanza ha portato alla luce lo scorso aprile ben 625 violazioni di legge solo nel 2013.