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DOSSIER - Sognando Catalogna, Lombardia e Veneto il 22 ottobre votano per autonomia

Giovani con bandiere della Catalogna, durante una marcia per l'indipendenza a Barcellona. REUTERS/Enrique Calvo (Reuters)

di Massimiliano Di Giorgio ROMA/MILANO/PADOVA (Reuters) - La possibile secessione della Catalogna dalla Spagna ha avuto nei giorni scorsi l'effetto di far parlare di due referendum finora passati quasi inosservati in Italia, quelli per l'autonomia in Lombardia e Veneto del prossimo 22 ottobre. Le due consultazioni sono lontanissime da quella catalana del primo ottobre scorso, che ha innescato una crisi istituzionale dagli esiti ancora incerti e ha avuto un impatto sui mercati europei. Nelle due regioni del nord Italia, guidate da presidenti della Lega sostenuti dal centrodestra, il voto infatti è consultivo, è stato autorizzato dalla Corte Costituzionale e punta a sostenere la richiesta di maggiore autonomia rispetto al governo nazionale, in particolare sull'istruzione, la sanità, sui fondi per le imprese e la gestione delle imprese. VENETO INDIPENDENTE "Vuoi tu che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?", dice il quesito sottoposto agli elettori veneti. Mentre quello lombardo propone, "nel quadro dell'unità nazionale", di intraprendere "le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia". La giunta veneta avrebbe voluto una consultazione più ampia, e nel 2014 aveva proposto un referendum parallelo sull'indipendenza dall'Italia. Ma la legge regionale per indire la consultazione era stata impugnata dal governo (che recentemente ha anche bocciato una legge per l'esposizione della bandiera veneta insieme a quelle dell'Italia e della Ue). Ed era intervenuta la Consulta, eliminando dal voto anche i temi fiscali e le questioni che spettano al governo nazionale. LA PROSPETTIVA DELLE ELEZIONI Anche altre regioni chiedono più autonomia, ma non hanno fatto ricorso all'arma referendaria. È il caso per esempio dell'Emilia-Romagna, il cui presidente Pd ha avviato una trattativa con Palazzo Chigi. Per alcuni critici quella di Veneto e Lombardia è una mossa in vista delle prossime elezioni politiche, per portare più consensi alla Lega di Matteo Salvini, concorrente di Forza Italia per la leadership del centrodestra. Il referendum è sostenuto dal M5s mentre il Pd nazionale non prende posizione lasciando libertà di voto. I sindaci di Milano e Bergamo, Giuseppe Sala e Giorgio Gori, sono favorevoli così come il segretario regionale Pd in Veneto, Alessandro Bisato. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, alleato della Lega, parla invece di "oltraggio alla patria". Gli operatori di mercato sentiti da Reuters non ritengono che l'esito delle consultazioni possa generare volatilità sui titoli di Stato italiani. Anche perché non gli assegnano un significato politico nazionale, a differenza dell'esito delle elezioni siciliane, il 5 novembre, che saranno osservate da vicino per valutare la performance del M5s. ZAIA: VENETO CATALOGNA D'ITALIA Per Luca Zaia, ex ministro dell'Agricoltura e in testa alla classifica dei presidenti più amati d'Italia, "il Veneto è la Catalogna d'Italia, fatto di pmi, l'80% delle quali sotto i 15 dipendenti, 600.000 imprese, 150 miliardi di Pil, disoccupazione più bassa d'Italia col 6,8%, e 5 milioni di abitanti". Il governatore, che ha già fatto stampare 100.000 copie di un opuscolo intitolato "Le 100 domande dei veneti a Luca Zaia", dice a Reuters che il referendum è "un evento storico per l'Italia" che "si prefigge l'obiettivo di portare il popolo veneto ad esprimersi e chiedere a Roma tutte le competenze previste dalla Costituzione". Ma anche l'opuscolo "Scopri perché la Lombardia è una regione speciale", diffuso dalla giunta di Roberto Maroni, paragona la regione di Milano a quella di Barcellona. Anzi, spiega, il residuo fiscale (cioè la differenza tra tasse pagate e trasferimenti dallo Stato) che la Lombardia vanta è molto più alto di quello della Catalogna e della Baviera. MAGGIORANZA BULGARA PER IL SÌ, MA CRITICHE SU SPESE Di sondaggi sull'esito del voto, per il momento, ne circolano pochi. Quelli dell'agosto scorso di Winpoll dicono che in Lombardia, dove non c'è quorum, dovrebbero andare a votare (sicuramente + probabilmente) il 58% degli aventi diritto, col 94% che intende votare sì; mentre in Veneto (dove invece il quorum c'è) l'affluenza salirebbe al 66%, con i sì al 92%. "Voto e voto sì. Serve un mandato politico forte per ottenere un completo sistema di autonomie locali", dice a Reuters il responsabile ricerca e sviluppo di un'azienda editoriale con sede a Milano. Decisamente contrario invece Luciano Canova, un giovane economista originario di Sondrio: "Mi ripugna un po' l'organizzazione di un appuntamento elettorale che ha il chiaro intento di spronare i leghisti in prossimità delle elezioni, coi soldi della regione e quindi pubblici. Per cui non andrò ed è il mio modo di esprimere politicamente il non riconoscimento dell'appuntamento". Polemiche sui costi. Per la Lombardia, dove nei seggi si voterà su tablet elettronici costati 23 milioni, la stima è di una spesa di 50 milioni. Maroni ha detto che i tablet, costati 23 milioni, sono un investimento che resterà in dotazione alle scuole. Per il Veneto, il costo è di 14 milioni. Per il 55% degli italiani, dice un sondaggio Swg, si tratta di una spesa inutile, anche perché la maggioranza ritiene che si possano ottenere più poteri per le regioni negoziando direttamente con lo Stato. -- Ha collaborato da Milano Elvira Pollina Sul sito www.reuters.it altre notizie Reuters in italiano. 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