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Fondo pensione: quando conviene farlo?

E’ ormai il modo più diffuso che gran parte degli Stati utilizzano per permettere ai lavoratori di ottenere un assegno previdenziale complessivamente pari a circa l’80 per cento dell’ultima retribuzione. Si chiama previdenza integrativa (o complementare) il vero fulcro delle strategie di welfare dei prossimi anni. Di fronte alla crisi economica globale e a bilanci pubblici sempre più in rosso, infatti, la scelta dei governi è di affidarsi al sostegno del settore privato. L’alternativa, anche per milioni di italiani, sembra essere quella di un assegno previdenziale calcolato sulla base dei contributi effettivamente versati nel corso della vita attiva, pari grosso modo alla metà dell’ultimo stipendio.
Una prospettiva decisamente poco allettante, soprattutto se si pensa che arriverebbe non prima dei 67 anni o addirittura ancora più in là.

Il concetto alla base della previdenza integrativa è accantonare regolarmente una parte dei risparmi durante la vita lavorativa nella speranza di poter aggiungere qualcosa alla pensione pubblica. L’importo di questo tipo di pensione è determinato dall’ammontare del capitale versato, dall’età e dal sesso del soggetto che ne beneficerà. La consistenza dell’assegno sarà tanto maggiore quanto più alto è il risparmio accumulato per la pensione integrativa e quanto maggiore è l’età del soggetto stesso.

In Italia la previdenza complementare è ancora oggetto di scetticismo. E così, a poco più di cinque anni dal lancio in grande stile, non c’è stato ancora il decollo del settore. Gli ultimi dati parlano chiaro. Gli iscritti al 30 settembre 2012 sono complessivamente meno di 6 milioni, il 27 per cento del totale. Un valore in crescita del 4 per cento rispetto al 2011, ma solo  grazie ai Pip che sono aumentati del 15,2  per cento. Sono ancora 12-15 milioni coloro che rimangono fuori dalla previdenza integrativa.

Ma quando conviene cominciare a pensare alla propria pensione integrativa? Non è possibile indicare un’età precisa, ma sicuramente più si è giovani e meglio è. Chi adesso inizia a lavorare, infatti, sarà quasi sicuramente un anziano di domani con più difficoltà economiche di quelli di oggi.
Ecco perchè, secondo quanto affermano molti esperti della materia pensionistica, migliorerà la propria situazione futura se ora ha la lungimiranza di cominciare a programmare il proprio futuro pensionistico.

I motivi che dovrebbero spingere un giovane verso la previdenza complementare sono più di uno.
Aderire presto a questo sistema pensionistico permetterà, in caso di necessità, di avere diritto prima alle anticipazioni previste ad esempio per l’acquisto o ristrutturazione della prima casa, per disoccupazione o per malattia. La scelta può essere fatta, versando le quote necessarie, perfino dal genitore per il figlio adolescente, non ancora entrato nel mondo del lavoro. Inoltre l’adesione alla pensione integrativa non ha solo i vantaggi legati alla possibilità di garantirsi un assegno previdenziale più sostanzioso. Sono previste, infatti, specifiche agevolazioni.

Durante la vita lavorativa i versamenti a carico del lavoratore e del datore di lavoro sono dedotti dal reddito imponibile, entro il limite di 5.164,57 euro. Il risparmio fiscale generato sarà minimo del  23 per cento (aliquota Irpef minima applicabile). I rendimenti prodotti sono tassati all’11 per cento anziché al 12,50 per cento previsto per tutte le altre tipologie d’investimento. Poi durante il pensionamento, in cui si percepisce la rendita della Forma di previdenza complementare, la parte derivante dai versamenti dedotti, quindi non tassati in fase di contribuzione, è tassata al massimo al 15 per cento.
Tale aliquota si riduce di 0,3 punti per ogni anno di adesione, fino ad un massimo di 6 punti. La rendita derivante dai versamenti non dedotti e dai rendimenti finanziari, già tassati durante la fase di accumulo, è esente da tassazione. Inoltre la rivalutazione riconosciuta alla rendita negli anni di erogazione è tassata al 12,50 per cento.

C’è poi il concetto di reversibilità, cioè la possibilità, pagando una quota addizionale, di “spostare” la rendita della pensione a favore del coniuge o di un parente stretto in caso di decesso del titolare. Sono previsti effetti differenti sulla definizione della pensione complementare a seconda di come il decesso influisca. Se, infatti, la pensione ha già iniziato ad essere corrisposta, continua a favore del parente o della persona indicata dal titolare senza, però, la possibilità di richiedere il saldo di tutto il capitale accumulato. Nel caso di decesso prima del termine del versamento, invece, i nuovi beneficiari possono recuperare il capitale senza, però, godere dell’erogazione della vera e propria pensione integrativa.


Nonostante tutto, è innegabile il poco successo della pensione integrativa. Le ragioni sono da ricercare anche nel fatto che la copertura del sistema previdenziale pubblico è ancora buona. I fondi privati, invece, il principale strumento del sistema complementare, non sono a capitale garantito, in particolare in caso di fallimento del fondo stesso o delle imprese private in cui ha investito il capitale raccolto. Eppure la scelta è ampia e diversificata. E decidere quella giusta, tra fondi e piani individuali realizzati mediante polizze assicurative, non è facile. Ecco in sintesi le possibilità principali.

Fondi chiusi o negoziali.
Il costo di gestione è il più vantaggioso. Sono istituiti dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavori nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale. A questa tipologia appartengono anche i fondi pensione cosiddetti territoriali, istituiti cioè in base ad accordi tra datori di lavoro e lavoratori appartenenti a un determinato territorio o area geografica. Questo tipo di Fondi, oltre al Tfr dei lavoratori possono raccogliere ulteriori versamenti effettuati sia dai lavoratori sia dai datori di lavoro. L’adesione a questi Fondi, tuttavia, non obbliga a versamenti ulteriori, in aggiunta al Tfr.

Fondi aperti. Il costo medio di gestione è dell’1,9 per cento all’anno per 3 anni di sottoscrizione, dell'1,4 per cento per 10 anni e dell’1,2 per cento per 35 anni. Sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazione, Società di gestione del risparmio (Sgr) e Società di intermediazione mobiliare (Sim). Questi fondi possono essere scelti per la destinazione del Tfr da tutti i lavoratori. Il patrimonio dei Fondi resta comunque separato da quello della società che l'ha istituito, in modo da salvaguardare il credito dei lavoratori. Anche in questo caso l'adesione non obbliga a versamenti ulteriori, in aggiunta al Tfr.

Pip (Piani individuali Pensionistici). Il costo di gestione è il meno vantaggioso (circa il 2 per cento annuo per 35 anni di sottoscrizione). In genere sono creati dalle imprese di assicurazione attraverso polizze assicurative sulla vita con finalità previdenziali. Anche in questo caso il patrimonio dei PiP resta separato da quello della compagnia di assicurazione che l’ha istituito.

Fondi preesistenti.
Sono le forme pensionistiche presenti prima del 1993 quando la previdenza complementare è stata disciplinata per la prima volta. Dal 2007, con un disposto alla Riforma della previdenza complementare, si sono sempre più allineati agli attuali Fondi pensionistici integrativi.

Due esempi concreti possono chiarire meglio alcuni dei concetti di cui si è parlato sino ad ora. Le simulazioni, realizzate dalla società Progetica, sono state effettuate ipotizzando una crescita del Pil reale da oggi al giorno della pensione del 2 per cento annuo, una crescita del reddito reale (al netto dell’inflazione) pari all’1 per cento ed una crescita dell’inflazione annua pari al 2,07 per cento (media degli ultimi 5 anni).

Il caso di Andrea. 35 anni, ha iniziato 5 anni fa un’attività in proprio che gli genera un reddito netto mensile di circa 2.900 euro. Ipotizzando una pensione a 65 anni, percepirà una pensione di 3.847 euro netti al mese, molto inferiore rispetto al suo ultimo reddito pari a 6.488 euro. Per integrare la sua pensione, Andrea sceglie di aderire a un comparto aggressivo di un fondo pensione aperto in cui versa 4.560 euro all’anno. In questo modo riuscirà a integrare la sua pensione con 2.192 euro al mese. Nello specifico decide di sottoscrivere un Piano di accumulo in un fondo azionario internazionale, con un versamento di 670 euro all’anno per 30 anni. Con il capitale maturato alla fine del piano, in aggiunta al suo dossier titoli Fineco di 75mila euro, Andrea potrà assicurarsi un’ulteriore rendita così da andare in pensione con lo stesso reddito di quando lavorava.

Il caso di Giulia. 30 anni, ha iniziato a lavorare 5 anni fa. Ipotizzando una pensione a 60 anni, Giulia percepirà una pensione pubblica di 2.128 euro, ben inferiore al suo ultimo stipendio di 2.719 euro. Per integrare la pensione la soluzione è aderire a un fondo pensione aperto: iniziando subito, e avendo davanti a sé un orizzonte temporale lungo, a Giulia basta versare il Tfr e un piccolo contributo individuale di 65 euro al mese su un comparto dinamico per ottenere una pensione complementare di 491 euro. Avendo iniziato da giovane, decide di sottoscrivere un Pac (piano di accumulo capitale) su un fondo azionario europeo a cui versa 350 euro all’anno. La rendita di altri 100 euro euro permette a Giulia di andare in pensione con lo stesso reddito di quando lavorava.