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In Cina il credito si sta avvicinando a un livello di crisi

Il credito è l’olio che lubrifica il motore di un’economia. Per questo gli economisti osservano attentamente le relative statistiche, al fine di valutare la sostenibilità della crescita. Se il credito non aumenta vuol dire che le famiglie e le imprese non hanno abbastanza fiducia nel futuro per assumere prestiti e investire. Se invece aumenta troppo rapidamente, può provocare instabilità finanziaria e macroeconomica: la storia mostra che le crisi bancarie di solito sono precedute da un accumulo di credito rapido e consistente nel settore privato.

Il grafico illustra il livello di credito totale al settore privato non finanziario come percentuale del PIL, in alcune delle maggiori economie mondiali. Vale (Swiss: VALE.SW - notizie) la pena di sottolineare che questo parametro della Banca dei regolamenti internazionali (Bri) include il credito erogato da soggetti nazionali, non bancari ed esteri. Anche se non c’è un rapporto credito/PIL tale da provocare instabilità finanziaria, il grafico mostra che i livelli di debito in Cina e in Australia si stanno avvicinando al picco visto in Giappone (221%) negli anni Novanta (Francoforte: 1GSN.F - notizie) e in Spagna (218%) nel 2010. Un aspetto interessante è che al 42% il rapporto debito/PIL delle famiglie cinesi, incorporato in questi dati, è molto inferiore al 123% rilevato in Australia.

Gli economisti cominciano a preoccuparsi quando la crescita del credito si discosta dalla tendenza precedente. In questo senso, è importante considerare per cosa viene utilizzato il denaro preso in prestito. Ad esempio, un prestito bancario utilizzato per acquistare un’auto nuova farà aumentare sia il debito che il PIL, lasciando il rapporto fra queste due voci sostanzialmente invariato. Se invece il prestito viene utilizzato per comprare un bene esistente, come un’auto usata, l’acquisto non incrementa il PIL (che misura la produzione di beni e servizi nuovi), ma solo il livello complessivo di debito all’interno dell’economia.

Non sorprende che il credito abbia accelerato il passo dopo la crisi: le condizioni per un’espansione ci sono tutte, con i rendimenti bassi e l’abbondante liquidità iniettata nell’economia mondiale dalle banche centrali. Il problema per le economie pesantemente indebitate è che il ciclo finanziario potrebbe raggiungere l’apice in qualsiasi momento. Prima o poi, le famiglie e le imprese arriveranno alla conclusione che il loro reddito non è sufficiente per adempiere gli obblighi di servizio del debito, e questo innescherà un ciclo di riduzione dell’indebitamento nel settore societario non finanziario, come è già successo in Giappone, in Spagna e negli Stati Uniti. Sono tutte economie che hanno visto un consistente accumulo di debito e quindi un processo inverso, in parte favorito dalle banche centrali, che hanno tagliato rapidamente i tassi d’interesse per evitare che le famiglie e le imprese così pesantemente indebitate finissero sul lastrico.

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Mentre il tema della reflazione dominava i mercati degli investimenti nei mesi scorsi, provocando un rialzo dei rendimenti obbligazionari e dei prezzi delle azioni, molti hanno distolto lo sguardo dai rapporti di indebitamento elevati e in ascesa in alcune delle maggiori economie mondiali. Ora che la fase espansiva del ciclo di crescita economica mondiale è arrivata al nono anno e nelle economie sviluppate i tassi delle banche centrali sono ancora ai minimi, non si può fare a meno di chiedersi se la prossima recessione globale sarà molto più lunga di quella sperimentata nel 2008-09.

Di Anthony Doyle, Investment Director del team Retail Fixed Interest di M&G Investments

Autore: M&G Investments Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online